Tutto in tre giorni. Dalla vigilia al boxing day, il nostro Santo Stefano. Il weekend di Natale 1991. Lady Diana entra in scena perdendosi in campagna. La aspettano a Sandringham. C’è tutta la Royal Family. Sovrana, marito e figli compresi. Con l’esercito dei domestici. E qualche fantasma come ospite straordinario: quello di Anna Bolena, in particolare…Sullo schermo, Kristen Stewart le regala il suo corpo. Entra in scena a bordo di una Porsche che guida da sola. “Questa è una favola tratta da una tragedia vera”, è la scritta prima dei titoli di testa: siamo avvertiti. La storia è quella di una prigioniera che ha già deciso di fuggire via. La Storia ci dice che lo farà qualche mese dopo. Nella primavera del 1992, la regina deve accettare la separazione del figlio maggiore. Per il regista Pablo Larraín:”Diana era una principessa destinata a diventare regina. Era in teoria lontanissima. In realtà aveva il potere di farsi sentire vicinissima. Aveva il dono dell’empatia. Lei se ne stava isolata nei suoi castelli, anzi nelle “case” come le chiamano gli inglesi. Ma la gente la sentiva vicinissima. Come fosse la loro migliore amica”.
Lady D
Lei catturava il cuore della gente. Alcune persone hanno questa energia magica. La cosa triste, su cui indaga il film, è che lei era la persona più sola del mondo. Lei, che aveva il dono di far sentire gli altri illuminati dalla sua luce, quasi “sostenuti” da lei, non provava la stessa cosa. Desiderava essere contraccambiata, ma non lo era. Era generosissima, ma nessuno tra chi la circondava lo era con lei. Basta vedere una clip per cogliere il suo calore. Gli inglesi, si dice siano freddi: lei scottava. Era una principessa delle favole, indossava abiti da sogno. Eppure avevi la sensazione che da un momento all’altro poteva venire ad abbracciarti. A chiederti come stavi. Usava gli abiti come armatura, ma nello stesso tempo non c’erano ostacoli di nessuna stoffa tra lei e gli altri. Lei era la donna più fotografata e famosa del mondo. Una celebrità che io ho provato a livelli inferiori. Doveva essere pesantissimo sapere, in ogni istante della tua vita, di rappresentare così tanto per un Paese. E per il mondo. Il tocco di Diana è irraggiungibile è stato un impegno grande interpretarla mi è piaciuta la sua follia, imprevedibilità, l’ansia di essere libera in un contesto che era davvero una gabbia dorata in cui anche togliersi le scarpe e correre era vietato, i suoi vestiti erano come un’armatura. Ecco spero di aver fatto capire quanto fosse vitale e libera, un’autentica outsider.
L’inchino
Io posso sbagliare. Lei non poteva. In comune, forse, abbiamo avuto la sensazione di non avere avuto il completo controllo su noi stesse, sulle nostre vite. Ecco, da questo sì, che siamo scappate entrambe. Per poter decidere noi la direzione da dare alla nostra esistenza, al futuro. L’ho studiata. Ho visto video. Poi sul set abbiamo avuto degli istruttori che ci hanno insegnato l’etichetta. E tutte quelle cose che più che dover fare, lei come membro della Royal Family non poteva fare. Cose che dall’esterno non possiamo neppure immaginare. Tipo scendere in cucina per prendere qualcosa dalla dispensa, se ci viene fame. E tante altre che ho subito dimenticato, tranne l’inchino. Da fare, ma non troppo, per non cadere.
Una canzone al giorno
Ogni mattina, con il regista cercavamo la stanza del palazzo da cui cominciare e la canzone che mi avrebbe dato l’energia giusta per la scena. Perché il mio unico compito era trasmettere la vitalità di questa donna prigioniera. Miles Davis, i Talking Heads, Lou Reed. Una cover dei Nirvana che non dimenticherò mai: All Apologies cantata da Sinéad O’Connor. La mia preferita.