Affacciarsi sull’abisso: L’ultima ora di Sébastien Marnier su Prime Video

C’è qualcosa nell’aria, di misterioso o, forse, di ben nitido, che spinge un insegnante di liceo a suicidarsi saltando nel vuoto dalla finestra dell’aula in cui sta facendo lezione; un gruppo di adolescenti, studenti in quella scuola cattolica d’élite, a negare le proprie emozioni, a unirsi in una sorta di setta mettendo in atto riti sado-masochisti e il disprezzo per chi è meno intelligente di loro, che hanno un quoziente intellettivo superiore alla media; un professore quarantenne, che supplisce all’assenza del collega (in un inciso si viene a conoscenza che non è morto, ma in coma) e si scontra con l’arroganza, che sembra non avere limiti, dei ragazzi, a indagare cosa si celi dietro i loro comportamenti, scoprendo una verità traumatica. Quel qualcosa nell’aria, già diffuso quando il film inizia e che non termina con la sua conclusione, è al centro de L’ultima ora (titolo originale L’heure de la sortie, uscito nelle sale italiane con un moralista divieto ai minori di 14 anni), secondo lungometraggio di Sébastien Marnier, già scrittore di romanzi, autore teatrale e di graphic novel.

 

 

All’immagine, e alle sue potenti vibrazioni, il talentuoso cineasta francese non è quindi vergine. E lo dimostra con quest’opera che spiazza e inquieta per i toni utilizzati nel raccontare elementi più volte descritti dal cinema: una classe, la relazione complessa fra studenti e insegnanti e fra gli insegnanti, la trasformazione, di giorno in giorno più concreta, del pianeta, conseguenza dei maltrattamenti subiti per volontà degli esseri umani. Sta infatti nella forma la carta vincente de L’ultima ora/L’heure de la sortie, due titoli appropriati, che si rivolgono entrambi a un “tempo” non rinviabile, “scaduto”: l’ultima ora del mondo, l’ora dell’uscita dal mondo così come lo abbiamo conosciuto.
Marnier lavora per “enigmi”, per allusioni, costruisce inquadrature e scene che infittiscono il mistero, anche quando esso trova delle spiegazioni (alcune volte poco adeguate). Un mistero ancor più espanso per via della colonna sonora, che dà alle immagini un ulteriore, profondo, notevole senso di disagio e minaccia (la firma Zombie Zombie, duo francese di musica elettronica indipendente che ha anche composto il primo lungometraggio di Marnier, Irréprochable, del 2016, e il folgorante esordio dell’algerina Narimane Mari Loubia hamra, del 2013, e non si può non pensare alle ossessioni sonore create da John Carpenter, autore che Marnier indica tra le sue fonti, nello specifico il Carpenter di Villaggio dei dannati). Chi/”cosa” sono quei quattro ragazzi e quelle due ragazze dagli occhi “vitrei” (proprio come quelli di ghiaccio dei protagonisti delle due versioni filmiche di Villaggio dei dannati, quella del 1995 di Carpenter e quella del 1960 di Wolf Rilla) che si auto-puniscono in “giochi” di resistenza al dolore filmandosi e riversando le immagini delle loro azioni su dvd nascosti nel terreno di una miniera e contenenti anche materiali documentari su catastrofi ambientali e orrori perpetrati su natura e animali dalle persone? L’insegnante li pedina, lentamente e per ellissi scopre i loro gesti e soprattutto le loro intenzioni da attuare nel corso del fine settimana destinato alla consegna dei diplomi: un suicidio collettivo a bordo di un pullman della scuola saltando nel vuoto, questa volta, nel cratere della miniera. Realismo e horror, sogni e quotidianità, convivono ne L’ultima ora, in un film dal dosato equilibrio formale, sospeso in una dimensione alterata e affacciata sull’abisso (che inghiottirà tutto e tutti nella scena finale dove non resta che osservare immobili, o tentare di scappare invano, la terra l’acqua l’aria il cielo cancellati da una nube apocalittica) resa con lucidità espressiva e con qualche ingombro narrativo (si pensi alle minacce telefoniche ricevute ripetutamente dall’insegnante e risolte con una soluzione banale) che però non mina la calibrata rappresentazione di un malessere individuale e collettivo, di una fine del mondo “necessaria” (che, ancora, Carpenter aveva già di-segnato nel 1996 in un altro suo capolavoro abitato da uno dei più grandi finali della storia del cinema, e di lungimirante attualità, Fuga da Los Angeles).