Beasts of No Nation e l’innocenza della guerra

beastsofnonationInfanzia in guerra, soggetto difficile e ovviamente facile preda di rischi d’identità drammaturgica: la strada del patetismo, quella della denuncia umanitaria, quella del cinismo realista o ancora quella dell’affabulazione fantastica sono alternative pericolosamente possibili e Cary Fukunaga imbocca prevalentemente l’ultima, anche se poi i detour non mancano e nell’insieme Beasts of No Nation risulta in bilico su più prospettive. La scelta che si impone è quella dei modelli cinematografici di riferimento: il film è un congegno che funziona con la stessa benzina utilizzata da Benh Zeitlin in Beasts of the Southern Wild, con cui condivide (oltre all’assonanza del titolo) anche la musica di Dan Romer, l’autore di una colonna sonora che offre un sostegno consistente alla ritmica drammatica del film. Ma Fukunaga fa riferimento esplicito a un immaginario di guerra composto come un ordigno psicologico pronto ad esplodere nel delirio oggettivo e soggettivo di uno scenario impazzito: il Coppola di Apocalypse Now prima di tutto, ma anche il Kubrick di Full Metal Jacket o il De Palma di Redacted, per intenderci.

BeastsOfNoNation

L’impianto però è prevalentemente quello della fiaba occlusa nell’orrore dell’esperienza reale dei bambini soldato che, in Africa come in altre parti del mondo, vedono la loro infanzia ribaltata nell’orrore della guerra, che prima subiscono e poi praticano. L’incipit pone le basi di una serenità familiare che aderisce alla vita quasi normale di Agu, il piccolo protagonista: la sua infanzia è quella di un bambino che vive assieme alla famiglia in un villaggio cuscinetto di un non meglio precisato paese africano preso nel pieno di una guerra civile tra i governativi e i ribelli. Poi le milizie avanzano, i soldati arrivano, la confusione porta morte per mano di uno o dell’altro e Agu si ritrova solo come un enfant sauvage nel mezzo della foresta, smarrito sino a quando non viene fatto prigioniero da un battaglione di bambini guidato dal sedicente Comandante (Idris Elba). Fukunaga ripercorre così la traccia dell’educazione bellica, del piccolo soldato irreggimentato nella violenza subita ed agita, basandosi sul libro di Iweala Uzodinma Bestie senza una patria, dettato all’autore dalla sua esperienza nei centri di riabilitazione per i bambini soldato africani. Lo scarto stilistico sta tutto nella definizione di una focalizzazione soggettiva che preserva l’innocenza dello spirito del protagonista nella contraddizione dell’orrore di cui è teaguuuu-765x374stimone e anche artefice. La presenza carismatica e prevaricatrice del Comandante diviene lo spettro di un mondo in cui l’affettività genitoriale si ribalta nell’offerta del dolore, nella dannazione dell’obbedienza, nella trasmissione del comando.

 

A fronte dell’imprintig soggettivo innocente che Fukunaga cerca di preservare per il suo film, si pone però le definizione di una realtà oggettiva implosa nella follia e nella morte, che viene descritta come riflessa nello specchio deformante dell’infanzia, in un processo che può lasciare spiazzati. L’enfasi estetizzante è la tentazione più concreta di un film che del resto, nel tenersi volutamente lontano da qualsiasi definizione storica concreta, rischia di non fornire le coordinate politiche degli eventi che evoca. Lo scopo è preciso, questo va da sé, ma si possono comprendere le perplessità di chi vede in Beasts of No Nation un prodotto griffato Netflix da prendere con le pinze.