Berlinale 71 – This Day Won’t Last di Mouaad el Salem, testimonianza coraggiosa e necessaria

Non solo lungometraggi nell’ottima selezione della Settimana della Critica della Berlinale, ma anche cortometraggi di varia provenienza a testimoniare il lavoro di ricerca compiuto da molti cineasti. Un posto di rilievo va a This Day Won’t Last realizzato in totale autonomia dall’esordiente tunisino Mouaad el Salem che lo ha diretto, scritto, fotografato, montato e “interpretato”. Virgolette necessarie perché si tratta di un breve film (ventisei minuti) sperimentale nel quale il corpo e soprattutto la voce di el Salem assumono la funzione di una presenza visibile/invisibile che aleggia, si mostra, si nasconde in mezzo alle immagini girate e mantenute quasi sempre in bassissima qualità nell’atto imprescindibile di esprimere una testimonianza dolorosa e necessaria. This Day Won’t Last è un film intimo, molto, e politico, altrettanto. Un diario in immagini e parole, ovvero la prima persona singolare e plurale del giovane regista (in un passaggio dice di compiere 25 anni), gay nella Tunisia odierna in cui l’omosessualità è ancora ritenuta, dall’articolo 230 del codice penale tunisino (risalente al 1913 come parte della legge coloniale francese), punibile con la detenzione fino a tre anni nonostante le numerose manifestazioni e marce contro la violenza e per i diritti delle persone Lgbtq+ documentate anche nel film con alcuni estratti della marcia del 30 novembre 2019 a Tunisi. Immagini inserite in This Day Won’t Last e tratte, come si legge nei titoli di coda, dalla pagina social di un’associazione. El Salem, infatti, fa sue anche immagini trovate altrove (come quella con il graffito su un muro con la scritta “Queer Were Here”, scoperta per caso su internet, o quelle che mostrano lo sradicamento di un fico da parte di una ruspa per fare posto a delle residenze e per essere ricollocato nel giardino di un hotel, dove non sopravviverà a lungo – fico metafora della condizione di un intero paese), le rende proprie, le pone in dialogo con quelle da lui filmate perché quei fatti lo toccano nel profondo.

 

 

This Day Won’t Last è abitato da immagini che sono segno costante di instabilità, di imperfezione, specchio e respiro, battito delle ansie, paure del regista, anche solo di filmare in casa e essere scoperto nella sua urgenza di dire a voce alta e registrare i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, il suo vivere sospeso, sentirsi in esilio in patria, pensare di andarsene lasciando però affetti, famiglia, amici – uno strappo insopportabile. El Salem alterna i formati (4:3, quello del cellulare o dello schermo pieno), filma la propria stanza piena di oggetti, una festa con amici, il gatto, gli scalini fuori dalla casa mentre li scende e si intravedono i suoi piedi (come poi alla fine, mentre entrano in acqua), il terrazzo con i panni stesi, il cielo e il mare, un bambino che gioca in strada o panoramiche su scorci della città, la scritta su un muro che diventerà il titolo del film… E inserisce fotografie, anche qui personali e di paesaggio, a colori e in bianconero. Assembla questi materiali e li lascia liberi di respirare. Talvolta dà spazio allo schermo nero o blu come “fondo” per le sue parole, la sua delusione per come è oggi la Tunisia, dieci anni dopo la caduta del regime e la lotta di un popolo, alla quale ha partecipato pure lui (“anche noi eravamo in strada, la Tunisia è di tutti”), eppure le cose non sono migliorate. Ma la speranza c’è, lo suggeriscono il titolo (“Questo giorno non durerà”) e un’altra didascalia affinché la cancellazione dell’articolo 230 “diventi presto realtà e non solo un sogno”. This Day Won’t Last è una confessione aperta, una “lettera” di dolore e amore di un autore che “vive e sogna in Tunisia e in Belgio”.