Encanto di Byron Howard, Jared Bush, Charise Castro Smith e il ritorno al classico

Probabilmente, negli anni più difficili e meno identificativi di sempre (almeno da un punto di vista di business), Disney si trova a dover fronteggiare la sfida di ideare e produrre il sessantesimo classico della sua gloriosa carriera. Si tratta di un anniversario importante, ma confinato solamente a una delle sue anime, sicuramente la più storica ma oggigiorno la meno importante e riconoscibile. Dopo il tanto amato Rinascimento degli anni Novanta, i classici Disney hanno subito un arresto vero e proprio in termini di qualità, probabilmente poiché curati con meno attenzione e creatività per via degli sforzi dedicati agli altri pianeti che via via si sono annessi alla galassia di Topolino (Pixar, Marvel, Star Wars, ecc.). Negli ultimi anni però qualcosa sembra stia cambiando e un film nostalgico, colorato e vivace come Encanto di Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith, ne è una prova ulteriore. Per festeggiare questo compleanno, Disney organizza un vero e proprio party. Pensateci: c’è una famiglia riunita in una villa magica, c’è un rito iniziatico da celebrare, ci sono tavole imbandite, balli scatenati, musiche ritmate, addobbi vivacissimi e, come in tutte le feste che si rispettino, moltissimi sottaciuto che rischiano di minare l’armonia tra i presenti.

 

 

Soprattutto però, Encanto sembra voler raccontare la storia di una famiglia che da generazioni è un punto di riferimento per una piccola comunità. Una famiglia costituita da persone dotate di poteri magici in grado di aiutare i bisognosi. Una famiglia che vive in una dimora incantata che però, ultimamente, sembra iniziare a scricchiolare, a perdere il suo smalto non solo nelle fondamenta ma anche nella serenità che da sempre la caratterizza. La magia rischia di sparire e il tutto sembrerebbe dovuto all’unico componente del nucleo privo di talento: Mirabel.
Forte della sua aura completamente anonima (occhiali da sfigata, tratti fisionomici decisamente comuni e nessun particolare talento magico), Mirabel è la pecora nera della famiglia Madrigal. Encanto, chiaramente, la condurrà lungo un viaggio (se così possiamo definirlo, il film infatti è ambientato praticamente sempre all’interno della dimora di famiglia) in grado di esaltare l’importanza del suo ruolo, l’unicità del suo normalissimo sguardo (Mirabel, ovvero, bella vista).

 

 

Bene: la famiglia si ricompone, la dimora è salva, la magia ritrovata e vissero tutti felici e contenti. Tuttavia resta da interrogarsi su come mai, proprio in occasione di un compleanno così importante, Disney abbia sentito l’esigenza di raccontare una storia simile. Non passa infatti inosservata la forte somiglianza tra le avventura dei Madrigal e quelle degli uffici della casa di Topolino. Un castello magico, una famiglia numerosa in cui ognuno ha una peculiarità propria, una storia gloriosa alle spalle e soprattutto la minaccia di una disunione, lo smarrimento di un tocco semplice ma riconoscibile che oggi come oggi risulta tanto prezioso quanto opaco. Per celebrare questo traguardo, per celebrarsi, Disney sembra fare autocritica. In un universo in continua espansione, tra parchi a tema, serie tv, brand audiovisivi, piattaforme digitali e chi più ne ha più ne metta, si corre il rischio di dimenticare la normale, gloriosa, sempre cara magia del cinema. Encanto è un omaggio dichiarato alla struttura classica disneyana (tante canzoni, coreografie indimenticabili e un irresistibile gusto per l’esotico), ma è anche un film perfetto per sintetizzare e portare in scena la forma Disney contemporanea (il gusto per l’horror, la citazione al Bruno di pixeriana memoria, la sua natura pachidermica e multiforme).