Fra abissi e rehab: su Sky Lovely Boy di Francesco Lettieri

“Il secondo album è sempre il più difficile, nella carriera di un artista”. Così cantava Caparezza per aprire le danze del suo secondo disco, Verità supposte, e così forse potrebbe aver pensato Francesco Lettieri alle prese con il suo secondo lungometraggio. Dopo aver lavorato a lungo e con grande successo nella produzioni di videoclip musicali, e dopo aver esordito in un lungo con un lavoro di produzione Netflix intitolato Ultras (2020) ambientato, va da sé, all’interno della tifoseria organizzata, sembra quasi che l’autore abbia sentito il bisogno di confermare il suo percorso e mettere nero su bianco quali che siano le tematiche basilari del suo cinema, esorcizzando il timore di deludere dopo il buon riscontro dell’opera prima e dichiarando al pubblico quale sia la sua strada cinematografica. Lovely Boy infatti racconta ancora una volta di un branco e una fede destinati a trasformarsi da terra promessa a eterna prigionia. Se in Ultras era lo stadio il terreno di gioco, qui è il palcoscenico. Siamo calati nella scena trap romana, un habitat che Lettieri conosce ottimamente grazie ai pregressi lavori nel campo della videomusica. Fama e successo rischiano di accecare il giovane protagonista che presto si ritrova in una spirale di dipendenze dalle quali non sarà facile uscire. L’antidoto, proprio come per il Sandro di Ultras, è l’allontanamento. Il Lovely Boy tanto amato e celebrato diventa così un Lonely Boy comune e dimenticato.

 

 

Lettieri è bravo a immergere lo spettatore in questo dramma suburbano che si muove all’interno di uno schema più che consolidato e di certo non innovativo, ma che viene comunque trasposto in scena con mano sicura e con cognizione di causa. Aiutato dal talento certificato del suo protagonista (Andrea Carpenzano), il regista disegna una parabola in cui la forza dell’individuo si riflette nell’ambiente che lo circonda. Di nuovo quindi, è il contesto ad avere presa nel film di Lettieri. Roma e le Dolomiti. La capitale d’Italia e la solitudine della natura. Se per i tifosi di Ultras il bivio era legato alle priorità individuali (meglio coltivare una relazione o non abbandonare la propria squadra di calcio?), per i cantanti di Lovely Boy ci sarà da scegliere tra la carriera e la salute. Lettieri si inabissa in universi precisi e solidi, ricostruiti alla perfezione tanto che sembrano essere autonomi e preesistenti al suo arrivo. Una volta immerso, li indaga mettendo in crisi chi li abita. Questo è il valore aggiunto e riconoscibile del suo cinema. Quando lavora sulle immagini, sugli opposti, sugli spazi e sul taglio fotografico, Lovely Boy diventa un catalizzatore di emozioni dalla raffinata intelligenza. Quando invece la regia si adagia nel ricercare espedienti più “originali” per portare avanti il racconto (la soggettiva del cane, il trip allucinogeno) ecco che il film mostra il fianco a qualche insicurezza di troppo che sicuramente non stona nel complesso finale ma delle quali ci auguriamo un giorno il regista possa fare a meno.