Frammenti di luce di Rúnar Rúnarsson: il dolore attraverso la rifrazione della luce

Due giovani escono da uno spazio in controluce e si avvicinano lentamente. Due sagome che dagli scogli di un mare grigio si svelano allo sguardo. Sono Diddi e Una, innamorati e felici, intenti a progettare un futuro prossimo insieme, se non fosse per un incidente che stravolge i piani, i desideri, i sentimenti. Frammenti di luce, il quarto lungometraggio del regista islandese Rúnar Rúnarsson, è un elegante e affilato melodramma del lutto, raggelato nelle atmosfere fredde del paesaggio islandese, con tutte le tonalità del grigio che si rincorrono tra cielo, mare, edifici geometrici e imponenti, specchi e vetri triangolari a sezionare il vuoto dietro le finestre. Come a voler trovare una forma all’improvvisa solitudine in cui precipita la protagonista, studentessa all’accademia d’arte, che guarda i suoi amici soffrire per la morte di Diddi senza trovare uno spazio e un modo per sé stessa e il proprio dolore. Perché nessuno sapeva del sentimento che la legava a Diddi (fidanzato con Klara) e nell’ampio palazzo in cui tutti sono riuniti ad aspettare notizie dei sopravvissuti alla catastrofe che ha incendiato un tunnel, ognuno è libero di esprimere il proprio dolore, tranne Una, appunto.

 

 
Con tocco leggero la macchina da presa di Rúnarsson segue la sua protagonista esaltando con lievi movimenti di macchina e/o di luce le sfumature di sentimenti difficili da razionalizzare. Come può soffrire una giovane innamorata senza rivendicare il suo ruolo? Come può accettare di vedere proiettati nell’altra la sua stessa tristezza? Eppure, osservando e lasciando scorrere, sarà possibile per lei trovare un equilibrio, che sta nella simmetria dell’ambientazione, nell’esattezza di un vagare solo apparentemente distratto. Tra un tramonto e quello successivo, attraverso fughe e incontri ripetuti, cerimonie affollate e sigarette, Frammenti di luce ci porta attraverso un dolore giovanile senza sottovalutarlo ma sfuggendo i cliché dell’elaborazione del lutto. Gli amici di Diddi che piangono l’amico scomparso, lo fanno bevendo, ballando, piangendo, brindando, ma anche cercando fessure di sopravvivenza che andranno oltre quell’intera giornata a guardare in faccia l’imprevedibile.

 

 
Torna in mente Il dolce domani di Atom Egoyan, ugualmente efficace nell’affidare al paesaggio silenzioso e gelido il racconto del dolore di un’intera comunità. Il pullman di bambini affondato nel lago ghiacciato ha lo stesso riverbero del tunnel inondato dalle fiamme. Lo smarrimento negli occhi dei protagonisti non è diverso da quello sul volto di Una. Come a dire che il dolore ha forme espressive talmente personali e intime da diventare universalmente riconoscibile. Il meccanismo che si innesca, qui come nel film del ’97, è quello dell’osservazione ostinata della realtà per vedere ciò che sfugge all’occhio, non perché invisibile, ma perché un’angolazione inconsueta può portare a riconsiderare il possibile e l’impossibile. Come quando Una insegna a Klara a volare senza sollevarsi da terra.