Once upon a youth è il racconto intimo di un’amicizia, un diario, un album di ricordi fotografici. È un’operazione a metà strada tra il collage e l’home movie, la narrazione e la testimonianza. Ma è soprattutto la volontà di ripercorrere le tappe di un percorso comune, di una generazione, quella della gioventù croata dell’immediato periodo post-bellico, in bilico tra la voglia di sperimentare e la mancanza di appigli e punti di riferimento, irrequieta e scalpitante ma in costante combutta con un vuoto di senso/senso di vuoto. Ivan Ramljak, regista, curatore e critico che di quella generazione ha fatto parte a pieno titolo, qui al suo esordio nel lungometraggio documentaristico, realizza un viaggio personale nella ricostruzione del rapporto con l’amico Marko Čaklović, a tredici anni dalla sua morte avvenuta improvvisamente in circostanze incerte. E lo fa attraverso una scelta radicale perché a comporre il film sono infatti solamente immagini d’archivio, foto realizzate con una macchina analogica dallo stesso Marko, per cui la fotografia, ma in generale le arti visuali, erano la più naturale forma d’espressione, e brevi filmati amatoriali. Sono scatti che mostrano uno sguardo libero, maturo, visionario, prorompente, immagini di momenti di vita catturata nel suo scorrere e che restano incastrate nella retina da quanto riescono a evocare. Mentre le immagini scorrono, le voci di alcuni dei loro protagonisti – lo stesso Ramljak, la sorella di Marko, qualche sua fidanzata, amici del gruppo – le accompagnano, rappresentando l’unico (o quasi) commento sonoro dell’intero film.
Sono voci che commentano, ricordano, elaborano pensieri su quello che era stato per loro l’incontro con Marko, sul suo carattere di artista irrequieto, sempre teso tra una creatività estrema e il buio dell’esistenza. Scatto dopo scatto, commento dopo commento, si compone il puzzle di un gruppo di giovani a cavallo di un secolo desiderosi di esperienze: dalla fondazione di Radio Student alla cultura dei videogiochi, dalla passione per il cinema e per la frequentazione dei festival dove poter vedere bei film altrimenti non distribuiti, a quella per la musica underground e ai viaggi spensierati nelle isole della Croazia a bordo di una macchina sgangherata. E poi le droghe, il fumo, ma ben lungi, sembrava, dal trasformarsi in dipendenze. Proprio un’overdose di eroina però avrebbe stroncato la vita di Marko pochi anni dopo, nel 2006, lasciando un interrogativo aperto nei compagni di una breve ma avventurosa vita. Once upon a youth colpisce per la sua lucidità arrivando dritto al cuore soprattutto nell’ultima parte, sul racconto di quello che fu l’improvviso sfaldarsi del rapporto d’amicizia: pur nella sua natura di tributo fiero e aperto, rimane chiaramente sottesa l’idea che Ramljak abbia voluto ripercorrere le tappe di quell’amicizia riavvolgendo il nastro, letteralmente, anche per spiegare qualcosa a se stesso; un’operazione da cui emerge tanto la magia quanto la malinconia di un tempo passato, qualche rimorso e la consapevolezza che le risposte che si cercano non arriveranno mai. Idealmente però, come dice Ramljak stesso, Once upon a youth è anche la realizzazione di quel film che avrebbero dovuto fare insieme, “girato da lui e diretto da me”.
La 32ª edizione del Trieste Film Festival è visibile sulla piattaforma MYmovies