Hacksaw Ridge di Mel Gibson. Un eroe normale

231Un cast tutto australiano è stato scelto da Mel Gibson per il suo Hacksaw Ridge, film di guerra che riscopre un episodio tra i più sanguinosi della Seconda guerra mondiale che si è consumato sull’isola di Okinawa, a Hacksaw Ridge, appunto.  Andrew Garfield interpreta il ruolo di Desmond Doss, primo soldato disarmato della storia a meritarsi la medaglia d’onore del Congresso, dopo aver partecipato a quella guarra come soccorritore obiettore di coscienza e aver salvato più di settanta soldati feriti. Visto al contrario, questo film, appare come un viaggio nell’inferno della violenza e del dolore. Gibson non risparmia nulla allo spettatore, anzi, lo incalza, come incalzante e senza sosta fu la battaglia, che diventa irreale ma imprescindibile nel ritratto a tutto tondo dell’uomo che il regista di Braveheart ha scelto di raccontare. Partendo dalla fine, dunque, si potrebbe pensare ad un film ridondante ed esasperato (anche con qualche inquadratura di troppo), ma, se invece, com’è giusto, lo si considera nella sua interezza, ci si trova di fronte ad un’opera di mirabile coerenza, coraggiosa nel suo dichiarato antimilitarismo, e ambiziosa nella dilatazione di scene e gesti importanti come la vita.

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Si gioca sul filo delle contraddizioni. Fin da piccolo, infatti, Desmond ha dovuto sopportare la rabbia di un padre violento ed alcolizzato, reduce furioso e inerme perché, vent’anni prima, è sopravvissuto alla morte di tutti i suoi compagni. Eppure si arruola, nonostante il giuramento di non toccare armi e non uccidere mai. Come dire che il male si combatte affrontandolo, ma senza il rischio di assomigliargli, anzi, agendo in contrapposizione, per mettere insieme i pezzi di una “guerra giusta” e straziante. A Gibson piacciono i conflitti e le idee forti. Non sorprende, quindi, che abbia voluto trarre un film dalla storia vera ed eroica di un uomo normale. Come avrebbe fatto John Ford, con i suoi eroi senza pretese scaraventati in situazioni al limite della sopravvivenza. Lo schema narrativo e lo stesso immaginario di Gibson appartengono, però, al cinema eroico degli anni Novanta, con la tentazione irresistibile per la perifrasi. Non la storia di un giovane che in guerra trova se stesso, ma quella di un uomo che sul campo di battaglia finalmente può affermare se stesso, dopo tanti conflitti ideologici durante l’addestramento. Allo stesso modo la retorica classica del cinema bellico si sgretola, anzi, mette tutto in discussione, capovolgendo letteralmente i punti di vista ed esaltando la vita come unico “valore” ancora valido. “Non siete più in Kansas” urla l’ufficiale ai suoi soldati neo arruolati. E si pensa ovviamente a Il Mago di Oz e al viaggio allusivo della piccola Dorothy, ma la rappresentazione di uomini e situazioni ricorda più da vicino Avatar di Cameron, che si apriva con la stessa frase per preparare i soldati allo sbarco su Pandora. Segno del fatto che in differenti contesti, le storie degli uomini si ripetono e si assimigliano, tra invasioni, vendette e oniriche visioni.