Comincia nella spensieratezza e termina nella tragedia, Casco d’oro. Nella spensieratezza di una gita in barca lungo un fiume. Nella tragedia di un’esecuzione capitale. Siamo nella Parigi di fine Ottocento, nei suoi bassifondi, nelle taverne, nei piccoli alberghi, nei caffè pieni di fumo e di musica, nei vicoli bui che si possono trasformare in set per un regolamento di conti con un vero e proprio duello, nella villa di un ricco negoziante di vini che, per gelosia e vendetta, si rivelerà il manovratore dei fatti che porteranno alla tragedia, nella bottega-casa di un onesto falegname che si è rifatto una vita dopo un periodo trascorso in prigione, ma anche in campagna, nella casa di un’anziana dove gli amanti trovano riparo, per le strade e nella chiesa di quel villaggio, e ancora nel commissariato di polizia, fino al carcere e alla pensione con camera con vista sul cortile del penitenziario dove si consumerà l’ultimo atto di una storia d’amore e di morte. Questi ambienti sono frequentati da una moltitudine di persone fra cui, ben presto, emergono i due personaggi principali: la bionda prostituta Marie, detta Casco d’oro, e il falegname Georges. La scenografia che ospita il loro primo incontro è quella che si incontra come proseguimento della scena d’apertura, il locale con gazebo vicino al fiume dove, approdati sulla riva, convergono donne e uomini per danzare, chiacchierare, bere in una festa all’aperto. Prima un gioco di sguardi, poi un ballo. Ed è colpo di fulmine, l’inizio di una seduzione, di un amore interrotto, contrastato, vissuto nella fuga, infine concluso tragicamente, decapitato – nel senso letterale del termine.
Perché Georges cade nella trappola ordita dal commerciante di vini, anch’egli innamorato di Marie. Una trappola che lo condurrà al patibolo nel finale nerissimo, dove si intrecciano melodramma, noir, sfumature horror, di realismo quasi documentario, immerso in luci taglienti come la lama della ghigliottina, in febbrili geometrie visive dalle quali si stagliano i volti di interpreti in stato di grazia. Lo sono quelli di Simone Signoret e Serge Reggiani che esprimono, in un gioco di (im)mobilità, una gamma di sentimenti trattenuta e esplosiva. E lo sono quelli di tutti, anche la più piccola delle comparse, in ogni scena. Casco d’oro è un film che Jacques Becker realizzò nel 1952, esattamente settant’anni fa. Aveva iniziato a lavorare nel cinema negli anni Trenta, era stato assistente di Jean Renoir per poi girare, in meno di vent’anni (morì nel 1960 a 53 anni), tredici film che lo avrebbero posto come un riferimento per la futura Nouvelle Vague. Casco d’oro è uno di quei titoli che hanno segnato il cinema francese del dopoguerra, è un classico ma assolutamente moderno. Lo si evince da ogni inquadratura, dalla flagranza, nitidezza, libertà del filmare, capacità di far respirare le immagini e quanto contengono, e di trasmettere questo sguardo palpitante nella sua precisione all’interno di una varietà di generi e “nascondendo” la presenza della macchina da presa, i suoi movimenti, creando una vertigine tutta interna all’inquadratura in cui si possono ri-conoscere, e magistralmente lontano da vacue citazioni, tracce di Renoir (si pensi all’incipit della gita in campagna), di Rossellini, di Max Ophüls (nel “girotondo” vorticoso in cui si inabissano ebbri di passione Marie e Georges), a posteriori lampi di Godard.
Sopra tutto, permane lo sguardo di Becker, il suo mostrare e il suo lasciar intuire, relegare al non visto che si cela nel passaggio delle dissolvenze incrociate (elemento filmico ricorrente in Casco d’oro) oppure nel montaggio netto, come nel caso della scena del patibolo con Georges condotto alla ghigliottina e osservato dalla finestra della pensione da Marie. Si vede la lama scendere, poi uno stacco secco. La decapitazione rimane fuori campo, negli occhi di Marie, e si può affermare che sia stato proprio il montaggio a decapitare Georges, con il suo taglio dell’immagine in sintonia con quanto prodotto dalla lama dello strumento di morte. Casco d’oro continua a riservare sorprese. Tutte da scoprire grazia alla nuova circolazione in sala del film in versione restaurata e in originale con sottotitoli (i toni delle voci sono intraducibili, basta fare un confronto con la versione doppiata all’epoca) dalla Cineteca di Bologna che lo distribuisce nella collana Il Cinema Ritrovato.