Non è casuale il nuovo ritorno in sala de La tomba delle lucciole, dopo quello del 2015. Non lo è nel momento storico attuale, in cui le sequenze create da Isao Takahata nel 1988 si sovrappongono alla realtà contemporanea dei bambini in fuga dai bombardamenti che affollano social e trasmissioni tv. Ma se la guerra si ripete sempre uguale, il film ha il merito di raccontarla attraverso una prospettiva inedita: che non è soltanto quella più evidente offerta da due personaggi qualunque, il giovane Seita con la sua sorellina Setsuko, di cui seguiamo le privazioni fino al morir di fame dimenticati dal mondo e ignorati dai passanti. È la capacità di rendere anzi questa odissea l’emblema di una visione del mondo basata sul ribaltamento. Una prospettiva “di guerra”, appunto, dove la vita si tramuta in morte e i personaggi sono due fantasmi di cui già conosciamo il triste destino, in una narrazione che inizia dalla fine. Il ribaltamento è dunque la cifra stilistica, tematica e allegorica del film: lo è innanzitutto dal punto di vista formale poiché Takahata, che pure veniva dalla grande tradizione fantastica dei classici Toei (suo il capolavoro La grande avventura del piccolo principe Valiant), per il suo primo film animato sotto l’egida dello Studio Ghibli opta per una palette cromatica più tenue, poco vivida, con una dominante marrone, colore usato anche per i contorni degli umani invece del consueto (e più “cartoonesco”) nero.

Se le figure restano morbide e “piene” come da cifra tipica dello Studio, il contrasto che si crea con il racconto di corpi martoriati dalle piaghe, dalle ustioni e, infine, dalla malnutrizione, diventa la chiave d’accesso a un mondo alla rovescia. In questo senso, la rimozione che Seita attua rispetto al mondo circostante è simbolo di una condizione paradigmatica: il ragazzo rifiuta di avvicinare l’infanzia della sorellina alla morte, l’ammonisce di non guardare i cadaveri e nasconde a lei e alla zia la scomparsa della madre. E quando la parente gli intima di darsi da fare per servire la nazione, lui rifiuta di essere “educato” e scappa con Setsuko, per creare un suo mondo ribaltato, dove l’infanzia possa esprimersi in barba a quanto succede là fuori. I bombardamenti da cui tutti scappano diventano per lui l’occasione euforica di razziare le case, tutte le sue azioni sono “al rovescio” rispetto all’ordine degli eventi, che comunque arriverà a esigere il suo tributo di amara realtà. Sebbene alcune letture abbiano insistito sul film come resoconto dell’immaturità del ragazzo – che rifletterebbe una visione pessimistica dell’autore rispetto ai giovani giapponesi – in realtà l’aspetto più interessante è il contrasto che si viene a creare fra la bolla che Seita crea (per sé e per la sorella) e una Storia che va avanti e instaura una dialettica dolorosa con una società (quella giapponese) che ha un rapporto complesso con la memoria dei fatti accaduti durante la Seconda guerra mondiale – il film non a caso fu presentato come un “oggetto smarrito”.

Per questo motivo, nell’adattare il romanzo di Akiyuki Nosaka, il film comprende la necessità di ripartire dal basso. In questo senso va inquadrato anche il parallelismo fra umani e insetti/piccole creature su cui il film ritorna in più occasioni: non solo per le lucciole del titolo, che rispecchiano il prestigio della forza bellica nipponica destinata a durare quanto la luce dei coleotteri, ma anche per le formiche che vediamo operosamente sciamare per procurarsi il cibo come gli stessi umani. E ovviamente anche per le larve e le mosche che circondano i cadaveri – il parallelismo diventa naturalmente lampante nella scena in cui i due ragazzi seppelliscono le lucciole nella “tomba” e uno stacco repentino di montaggio mostra i cadaveri dei civili che vengono ammucchiati nelle fosse comuni. A corollario si ritorni ancora alla morte iniziale di Seita nella stazione, accolta con rassegnazione dai passanti: è l’immagine più ficcante di un’umanità-insetto (oggi si usa a ragione il termine “deumanizzare” riferita alle dinamiche belliche) che costringe infine a comprendere e capire cosa sia realmente successo. Takahata lo fa attraverso il contrasto fra i fantasmi di ieri e un presente-spettro che ha evidentemente dimenticato tutto e – tema che tornerà in molti suoi film – quello fra la città bombardata e una campagna che rappresenta un possibile Eden felice, minacciato però dall’incedere della Storia umana (concetto che svilupperà in Pom Poko). Su tutto resta l’urgenza e la commozione per un titolo che continua a riverberare la sua forza nel presente, attraverso le continue riedizioni: quest’ultima curata della Lucky Red si fregia anche di un nuovo e ottimo doppiaggio che sostituisce quello della prima edizione in videocassetta e DVD e il secondo del 2015 caratterizzato da un pessimo adattamento. Ulteriori tasselli di un percorso difficile ma che infine ci ha consegnato l’opera nelle migliori condizioni possibili.


