La memoria resistente: a Rotterdam Landscapes of Resistance di Marta Popivoda

Il paesaggio mentale è una questione che scavalca lo spazio e il tempo e si incide nella materia fluida della coscienza. Soprattutto al cinema, dove il rapporto tra il visibile e l’immagine è governato da dinamiche inconsce, che rispondono a leve mosse tanto dalla dimensione soggettiva quanto da quella soggettività diffusa che è la società. Quasi teorico, in questo senso, diventa un film come dell’artista e filmmaker serba Marta Popivoda, presentato a Rotterdam 50 (edizione online) nella Tiger Competition: un ritratto mentale, perché scritto interamente sulle memorie di un’anziana signora, Sonja, 97enne giunta a noi con alle spalle una vita che l’ha vista tra le prime e più impegnate partigiane della Yugoslavia. Catturata e deportata a Auschwitz, dove fu a capo della resistenza interna al campo sino all’arrivo dei liberatori, Sonja è sorprendente non solo per la lucidità con cui ricorda gli eventi, ma anche per la placida fermezza che segna la sua dignità umana: mai un guizzo d’odio né un fremito di timore nel ricordare, sempre una palpabile sicurezza del valore della vita. Marta Popivoda l’ha ascoltata per una decina d’anni, assieme alla nipote di Sonja, Ana Vujanović, coautrice del film, e ha registrato quelle conversazioni, traendone un diario personale che delinea una traccia narrativa in cui l’intreccio tra memoria e parola si offre al film come un paesaggio mentale resistente, tenace, che si spalma sulla percezione del presente.

 

 

È così che il film sfoglia una serie di immagini che dall’esile presenza di quella anziana signora, bisognosa di cure, si sfaldano in un gioco di sovrimpressioni, dissolvente incrociate, sonorità sovrapposte: Marta Popivoda sembra quasi tirare il filo della memoria per tessere una trama introspettiva, che assorbe il tempo della narrazione (i dieci anni trascorsi in ascolto di Sonja) così come il tempo della nostra visione…
Ci si ritrova quasi ipnotizzati in questi Landscapes of Resistance, spazio ovattato di visioni attese come epifanie di un tempo interiore, distrazioni dello spirito cui agganciarsi per resistere alle narrazioni lucide, precise, impietose di quella anziana partigiana. Tanto che la filmmaker si ritrova a contrappuntare con pagine di diario scritte sullo schermo lo scorrere di questi dieci anni, che diventano anche per lei, che ora vive a Berlino e si definisce “a feminist, queer, and antifascist artist and cultural worker”, il contrappunto in cui si disloca come una dolorosa consapevolezza il riemergere del fascismo e dell’intolleranza nel cuore della stessa Europa. Il film diventa insomma una testimonianza che, come spesso accade al cinema più profondamente introspettivo, coglie il senso del presente nel sentimento quasi astratto della realtà, nella distrazione dello sguardo dietro frammenti di senso, lampi di percezione, accumulo sonoro. Pura forma, in cui la narrazione precisa, lucida e puntuale della vecchia partigiana diventa forma di consapevolezza offerta in sacrificio alle intemperie del presente.

 

IFFR 2021: la scheda del film