La sguardo vuoto piantato sul futuro in Loveless di Andrey Zvyagintsev su MUBI

Alyosha, dodici anni, attraversa un parco alla periferia di Mosca, sullo sfondo gli impersonali palazzoni che disegnano il profilo ostile della città. Una volta giunto a casa si immerge nel suo inferno quotidiano. I suoi genitori stanno divorziando, gli agenti immobiliari mostrano a potenziali clienti l’appartamento in cui vivono, urla e rimproveri sottolineano la tensione. L’uomo e la donna, fuori da quella casa/prigione, stanno ricostruendosi una vita: lui convive con una donna più giovane da cui aspetta un nuovo figlio, lei si lascia coccolare da un amante maturo, generoso con regali e ristoranti. Entrambi sembrano rivivere solo quando sono lontani, l’unico inciampo sembra essere la presenza di quel ragazzino, testimone tangibile di un sentimento lacerato: una sorta di reperto fossile verso cui esplodere le armi del risentimento e del disprezzo, senza riuscire a rivolgergli anche un singolo gesto d’affetto. Finché, un giorno, il ragazzo scompare e il senso di colpa, più che un sincero dolore, annebbia la vista e il futuro dei genitori in lotta.

 

 
Nessuno sembra amarsi, nella Russia dipinta da Andrey Zvyagintsev in Loveless (in concorso), nessuno è capace di garantire protezione. Le promesse e le speranze hanno un rumore sordo, figlio della falsità e dalla meschinità di uomini e donne che usano tutto, anche il sesso, come moneta di scambio, confondendo vantaggio e passione, impermeabili ad ogni umana compassione. A farne le spese, ovviamente, sono i giovani e gli indifesi, dimenticati e ignorati, costretti a piangere muti, dietro una porta, lontano dagli occhi e dal cuore di chi dovrebbe accudirli. Zvyagintsev, dopo Leviathan, torna a radiografare implacabilmente la Russia contemporanea usando (e a volte abusando) di un tono metaforico che raddoppia la limpidezza raggelante del suo stile. La televisione rimbalza immagini e parole del dramma ucraino, la radio parla di un dilagante disagio sociale. La Grande Patria di Putin sembra aver chiuso occhi e cuore su un presente asettico, rancoroso, anaffettivo. Lo sguardo vuoto piantato sul futuro, sfiancati in una corsa immobile, sul posto, come quelle sui tapis roulant: uno scacco funesto che vede nella fine dell’empatia la corruzione morale di un’intera nazione e la distruzione delle sue cellule primarie. Quello di Zvyagintsev è un cinema impietoso che racconta di una società malata e destinata a far – letteralmente – scomparire i propri figli, lasciandoli inghiottire dal buio esistenziale. La consapevolezza marmorea dell’autore in alcuni momenti rischia purtroppo di cannibalizzare il film che, per eccesso di lucidità e di pulsione simbolica, appare come un manifesto tanto lucido quanto punitivo: un sermone disperato di un artista a volte fin troppo innamorato di sé e del nitore della sua messa in scena.