L’arte di (as)servire: a Locarno 72 L’apprendistato di Davide Maldi

Il punto focale è introflesso, ha a che fare non tanto con l’arte del servire l’altro quanto con l’atto di asservire se stessi, di porsi in uno stato di controllo della propria condizione esistenziale, indotto dall’esterno, accettato nel corpo e nello spirito e infine restituito al mondo. E’ questo L’apprendistato di cui parla Davide Maldi nel secondo capitolo (dopo Frastuono) della sua trilogia sull’adolescenza, presentato a Locarno 72 nel concorso Cineasti del Presente. La narrazione documentaria attiene l’arte del servire e si incarna nella figura di Luca, quattordici anni, una folta chioma rossa in testa, un corpo ribelle che non sa stare fermo e composto, improbabile studente di una scuola per camerieri nella quale si insegna l’ordine del gesto, la ritualità delle azioni, la plasticità funzionale dei movimenti. Maldi lo punta da subito, Luca, nel gruppo di apprendisti: gli misurano le basette col centimetro, gli controllano le mani, le unghie sporche, gli dicono di non muoversi. Lui recalcitra, pensa ad altro, non riesce a definire la ragione per cui è lì. Il film è costruito su di lui, sulla sua indisponibilità a stare nei confini di un istituto del controllo che non lascia spazio alla persona. Il controcampo è dato dalla passione di Luca per la caccia, la fuga in avanti nel mondo selvatico in cui Maldi lo segue in rapide aperture espositive, lavorando prevalentemente sui dettagli, sul particolare di una gestualità in cui il ragazzo si riconosce.

E il contrappunto figurativo, persino troppo simbolico, è trovato dal regista nelle bestie impagliate che campeggiano nella scuola, mostrate nel dettaglio delle loro pose fasulle, fintamente mobili, bloccate nello scatto: quello che idealmente sembra dover subire Luca nel corso di questo suo apprendistato. Il modello di riferimento resta ovviamente l’Olmi di Lunga vita alla signora, capolavoro (forse un po’ dimenticato) di prassi spirituale applicata all’idea dell’adolescenza che si confronta per la prima volta con l’idea del servizio, con la scansione delle gerarchie esistenziali… Altri tempi, quelli olmiani, dettati da una disposizione riflessiva che a Maldi non appartiene: L’apprendistato è un film che cerca lo smarrimento del suo giovane protagonista per descrivere esattamente l’indisponibilità del mondo alla pulsione vitale e, parallelamente, l’impossibilità della vita di essere contenuta nel rito. Lo scopo è raggiunto, ma allo sguardo di Maldi manca un po’ di agilità, come se avesse seguito con troppa precisione gli appunti di preparazione, lo schema logico e figurativo della messa in scena.