Lo specchio della vita: May December di Todd Haynes

Nello specchio della vita, il melodramma si riflette sotto la coltre della quotidianità: quello che era uno scandalo al sole della provincia americana è ora un ritratto di famiglia in un interno, sospeso tra le ombre del passato e la curiosità di un’attrice che cerca ispirazione per il suo ruolo. Siamo in May December, il nuovo film di Todd Haynes (in Concorso a Cannes76) e questa è la storia di Gracie, donna matura dal passato tormentato (Julianne Moore) e Elizabeth, star del cinema in cerca di ispirazione (Natalie Portman). Un film deve essere girato e Elizabeth deve interpretare Gracie, ricostruire il dramma della sua vita, di cui patisce ancora le conseguenze assieme a suo marito Joe, giovane uomo di origini coreane. Sono passati vent’anni da quando la loro storia era finita sulle cronache nere: il loro innamoramento aveva causato un clamore eccezionale, perché all’epoca Joe era solo un ragazzino di tredici anni e il gioco di seduzione intrapreso con Gracie, donna sposata e madre di un figlio, era diventato una cosa dalle conseguenze serie. L’amore proibito era finito in tribunale, travolgendo famiglie e vite. Ora Gracie e Joe sono una famiglia con figli e una vita apparentemente tranquilla: quadro di vita domestica in cui arriva Elizabeth, con l’intento di conoscere Gracie: prende appunti, fa domande, conosce ognuno… Come in uno specchio, le due donne si riflettono opacamente: dietro l’apparenza dell’empatia, al di là del gioco tra confidenza e rispetto reciproco, il faccia a faccia tra le due donne si configura lentamente ma inesorabilmente come un vero e proprio duello di personalità.

 

 

Il campo di battaglia è dunque la finzione e la cosa non deve stupire, dal momento che May December è un film di Todd Haynes e il gioco di rispecchiamenti tra vita reale e sua rappresentazione (sociale o finzionale che sia) è materia d’obbligo: Lontano dal paradiso, Io sono qui, Carol ci hanno mostrato la sua abilità nel lavorare sul raffronto tra la facciata della vita e il doppiofondo delle verità più intime, sul confronto tra l’ottica sociale e quella individuale, sul piano inclinato che tiene in bilico la quiete familiare e la realizzazione personale e anche, non da ultimo, sul faccia a faccia tra l’immagine finzionale dell’esistere e la sua matrice reale.

 

 

May December è insomma un melodramma che si riflette nello specchio della sua messa in scena: partendo dalla frattura della convenzione sociale (che ha condannato l’amore tra Gracie e Joe) insinua una serie di false verità dietro le quali maschera i traumi, le sofferenze, le privazioni e le accuse che costituiscono il piano soggettivo, intimo della vicenda. La scena aperta dalla finzione portata dal cinema nella vita della famiglia serve a scardinare le false certezze acquisite, ma non è certo meno falsa e ipocrita di quanto sia la vita, che copre sotto la coltre della quotidianità conquistata le esistenze dolorose di tutte le figure in campo. Todd Haynes mette in scena uno spazio finzionale che tradisce se stesso proprio nel momento in cui pretende di stazionare nella vita. Il film costruisce una stratificazione drammaturgica basata su un progressivo svelamento degli elementi narrativi, perfettamente coerente con la presa di coscienza della centralità del personaggio di Joe, l’uomo/ragazzo che si ritrova come un fantasma di se stesso, al centro della triangolazione tra la seduzione della vita e quella della finzione: finalmente consapevole del tempo che ha perso per un amore nato e vissuto fuori dal tempo della realtà, nell’incanto di un romance che non ha scampo.