Manifesto del partito dadaista: Entr’acte illumina Bologna

Tra i gioielli che hanno illuminato Piazza Maggiore di Bologna, alla XXXII edizione del Cinema Ritrovato: il cortometraggio sperimentale e avanguardistico, considerato il manifesto dadaista cinematografico, ovvero Entr’acte (1924) di René Clair, restaurato dalla Fondation Jérôme Seydoux-Pathé. Il film fu commissionato da Rolf de Maré, direttore dei Ballets suédois, per il balletto Relâche, progetto alternativo del pittore Francis Picabia (Parigi, dicembre 1924). Tra gli interpreti del film compaiono lo stesso Picabia (anche sceneggiatore del corto) ed Erik Satie, autore delle musiche del balletto e di quelle che accompagnavano, dal vivo, il film (ieri eseguite al pianoforte da Daniele Furlati). I due “attori” sono intenti a caricare un cannone che punta verso il nostro sguardo. È solo l’incipit di una serie esplosiva di scene eccentriche, surreali, impossibili, in cui la vita può scomparire con un colpo di bacchetta magica e qualunque oggetto o essere umano può improvvisamente non rispondere più alle leggi della fisica, ma dell’onirico (cinque anni prima di un altro capolavoro, Un chien andalou di Buñuel e Dalí).
Picabia scrisse la “sceneggiatura” – una sequenza di note per scene assurde ora rintracciabile sul Web – su due fogli griffati Chez Maxim’s.

 

Nelle intenzioni dell’autore, Entr’acte doveva essere «un intermezzo alle imbecillità quotidiane e alla monotonia della vita», mentre secondo R. de Givrey (Bonsoir, 1924) il film: «produce un’esasperazione dei sensi che fa venire voglia di schiaffeggiare il vicino e di mordere la vicina». René Clair, che curò anche il montaggio, riesce a dare magnifica forma visiva alle suggestioni nonsense scritte dall’autore del testo.
Marcel Duchamp e Man Ray giocano a scacchi. In dissolvenza incrociata convivono la scacchiera, i pedoni da gioco e quelli reali nel traffico di Place Vendôme. Tra le sequenze più potenti, destabilizzanti e che hanno segnato lo sguardo di molti grandi autori successivi (cfr. Ciprì e Maresco): il funerale.
Il carro funebre è trainato da un cammello, ghirlande di fiori ornano il collo dei partecipanti, corone di pane sono state invece poste sul carro, da cui becchettano le persone più vicine al feretro. Il passo del gruppo varia, salta alterato da effetti di ralenti, accelerazioni, avanti e poi indietro, come una comitiva di folli, come la vita terrena.
Ovviamente il film non finisce dopo la parola Fin o, quantomeno, la parola deve essere ripetuta almeno due volte, come una formula magica.
Fin
Fin