Ancora un film sulla divisione, sullo iato che separa l’uomo in sé, punto da sempre cruciale nel cinema di KimKi-duk. Certo, Il prigioniero coreano (Geomul), presentato a Venezia 73 nella sezione Cinema nel Giardino, è in prima istanza un’opera in cui Kim Ki-duk sembra parlare (anche con un certo coraggio, va detto…) del nodo critico rappresentato dalla divisione della penisola coreana lungo il 38° Parallelo. Sì, insomma, un dramma sulla scansione di un popolo tra un Nord e un Sud che oppone la tensione identitaria sulla linea di demarcazione ideologica di due sistemi di vita, che poi sono anche il fulcro problematico del dissidio storico che stiamo vivendo. Evidentemente la portata eminentemente spirituale del cinema di Kim Ki-duk è giunta al nodo di una riflessione, anche piuttosto problematica, sul proprio paese e si configura con la stessa portata ideale di un dialogo tra l’astrazione di una volontà spiritualmente tarata sulla estraneità alle tentazioni mondane e la connessione con un sistema che tende a prevaricare la volontà dell’individuo nella sommatoria dei bisogni imposti dall’alto. Il pescatore nordcoreano di Geomul sta al mondo con la stessa matrice sacrificale appartenuta al monaco che in Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera trascinava il grande masso per espiare la pena inflitta in infanzia alla tartaruga: è un corpo prigioniero della propria libertà spirituale, della determinazione del proprio essere. Lo ritroviamo alla deriva nelle acque del Sud, al di là del 38° Parallelo, fatalmente libero di essere prigioniero di un sistema di valori in cui non si riconosce, deciso nel serrare gli occhi come un Ulisse che deve resistere alle sirene di un consumismo in cui Kim Ki-duk ravvisa una minaccia che ovviamente non è tanto storica quanto ideale. Il film allora insiste sulla sua parabola, figura retorica ormai unica del cinema di questo regista, senza perdere di vista tensione di una riflessione che mette sempre in gioco la resistenza dell’individuo alla spinta più intima della propria indole, il conflitto con un mondo in cui i valori non corrispondono al sentire reale dell’umanità Questo pescatore che alla fine non apparterrà più né al suo Nord né all’estraneo Sud è una figura senza bussola, come tutte quelle che da sempre attraversano il cinema di Kim Ki-duk, un “Bad Guy” o un “Crocodile” destinato a vivere sott’acqua, in un suo mondo separato e a suo modo libero.