Più che un dramma per adolescenti, Prima di domani è una intricata storia di adolescenti sullo sfondo di un’America raggelata dall’inverno delle piccole e ricche cittadine del nord. Quarto lungometraggio della newyorkese Ry Russo-Young, regista trentacinquenne lanciata dal Sundance (dove ha presentato i suoi precedenti film Nobody Walks che vinse il premio speciale della giuria, e You Won’t Miss Me), premiata e apprezzata nei festival di cinema indipendente statunitensi (un piccolo ruolo è affidato a Jennifer Beals), trova ora distribuzione con il suo film più lineare e formalmente più “prevedibile”, senza per questo mancare completamente il bersagio. “La storia di un viaggio post-mortem – spiega la regista – dove il tempo ha un ruolo importante ed è forse il vero protagonista”. Al centro della vicenda c’è la sedicenne Sam, improvvisamente intrappolata in un tempo ciclico, dentro un giorno che continua a ripetersi, nonostante cerchi ogni volta di cambiare alcuni dettagli. Il fatto non è tanto tecnico quanto esistenziale. Non serve conoscere i segreti di questa giornata per spostare qualcosa e salvare le persone inconsapevolmente coinvolte (come in Edge of Tomorrow o Source Code), ma bisogna capire chi si vuole diventare, quale particolare di sé si vuole esaltare fino a identificarsi con esso in quanto persona. Con tempi e modi talvolta sommari e non perfettamente controllati (difetto non da poco in un film dove tutto dovrebbe funzionare alla perfezione), Russo-Young riesce a cogliere il dettaglio della vita di un’adolescente nel momento preciso in cui si pone domande importanti. “Perché odiamo Juliet?” si chiede Sam davanti all’ennesimo dispetto contro la ragazza più inquetante e sola della scuola. È questo il cuore della vicenda, tratta dal romanzo E finalmente ti dirò addio di Lauren Oliver, edito nel 2011.
Il nodo da sciogliere, prima che scatti la mezzanotte, è l’inversione di rotta della sua vita: vivere un ultimo giorno facendo emergere il lato buono e maturo di se stessa, piuttosto che iterare l’imitazione acritica delle sue amiche. Una storia edificante ma anche cupa, su come il bullismo tra adolescenti sia centrale nell’esperienza di tanti giovanissimi, ma anche senza reali motivazioni. Più vicino all’estetica seriale, con la musica spesso in surplus rispetto alle immagini, Prima di domani deve molto ad uno sguardo complice, che si alimenta di mistero e gioca la carta dell’identificazione dello spettatore di ogni età. Non c’è spazio per la leggerezza in questo film, anzi, il dramma si acuisce e cambia forma più volte. Il ritmo è sempre più veloce senza che le ripetizioni appaiano ridondanti. Le sette giornate vissute da Samantha somiglano al suo sguardo sul mondo, prima miope, poi sempre più ampio, ad abbracciare le cose e le persone che la circondano, vedendole per la prima volta o semplicemente soffermadosi sui margini di un microcosmo cui aveva rinunciato senza neppure saperlo. Un film ambizioso ma non moralista, sfacciato, anzi, nel mostrare le cose senza mediazioni, fino al punto da sembrare caotico o, addirittura, ingenuo.