Qualche idea per il futuro: Noi e la grande ambizione, di Andrea Segre

Andrea Segre torna a interrogarsi su quelle relazioni che, per quanto rifiutate o radicalmente mutate, continuano ad esistere tra vita privata e vita pubblica, ovvero tra vita privata e politica. La sua pratica è quella del cinema e mettendo a frutto ogni capacità di analisi, maturata con pazienza fin dal suo esordio, sulla scorta del recente Berlinguer – La grande ambizione Segre indaga da sud a nord e viceversa il desiderio di politica che attraversa le nuove generazioni, riflettendo su quella intensa, quanto mai del tutto realizzata, volontà di partecipazione che spinge i singoli a trovare quel possibile orizzonte che trasformi l’individualità in condivisione collettiva. Tra scene inedite del suo film e qualche sequenza del backstage, in Noi e La grande ambizione è su questi temi che soprattutto si focalizza il confronto in sala tra gli spettatori a visione ultimata del film dedicato alla figura di Berlinguer.

 

 
Leader politico che, indubbiamente, fu un uomo (come capitava in quegli anni anche per altre figure politiche) capace di utilizzare il proprio carisma non per un interesse personale, quanto invece in nome del partito, dell’idea, di quella speranza di mutamento che portò il Partito Comunista, punta avanzata delle forze progressiste dell’epoca, a diventare un terzo della presenza politica nel nostro Paese. Nell’assenza di queste figure, tema che il film molto trasversalmente e in un argomentare quasi a contrario fa emergere, non è sopito il desiderio di partecipare, lontano da ogni etichetta politica e sebbene siano cambiate le ragioni che spingono a questa scelta. Oggi il carisma politico è scomparso, e se è esistito è stato sfruttato in una visione esclusivamente personalistica del tutto lontana da ogni interesse collettivo. Ma non è scomparsa la voglia della politica e ancora una volta il cinema sa svelare verità sopite, quelle differenti verità rispetto alle altre che troviamo mistificate negli altri mezzi di informazione. Segre ci accompagna da Venezia a Palermo e viceversa ad ascoltare dalla voce vera degli spettatori il senso di inadeguatezza di una realtà politica che diverge da ogni radicamento, ci accompagna a sentire dalla voce dei più giovani il rammarico di non potere appartenere ad un movimento politico grande come accadeva in passato che sia casa politica e luogo di elaborazione. Ascoltiamo in quel dibattito post film – vituperato e rifiutato, ma a volte spontaneo, dovuto e quindi istintivo – i confronti generazionali dai quali emerge la differenza che il tempo e le vicende che lo hanno riempito hanno generato.

 

 
Quelli di Berlinguer erano gli anni in cui Le case del popolo costituivano un preciso punto di riferimento e proficuo spazio di confronto e decisionale. Oggi il clima che si respira è differente, stravolto. Si fa fatica a trasformare il desiderio di politica individuale in azione collettiva, si fa difficile trovare luoghi di dibattito. Segno e conferma di una più diffusa difficoltà comunicativa a dispetto di ogni incremento di mezzi e strumenti che possano, invece, accrescere le potenzialità relazionali, lo scambio di idee. È questo probabilmente il principale ostacolo da superare, quello di fare diventare collettivo quel bisogno che resta dunque parzialmente insoddisfatto. Ad ascoltare i discorsi dei più giovani, nelle sedi quasi carbonare in cui ci si incontra per un lavoro politico, ci si rende conto delle differenze generazionali. Si va a volte per linee teoriche e in alcuni casi si scende in quel riconoscibile particolare che riguarda i diritti di tutti comprese donne e immigrati, ma spesso la teorizzazione sfocia in una collaborazione di idee. Forse il dato che emerge da Noi e la grande ambizione sta proprio in quel “Noi” che rimarca il presente restituendoci uno smarrimento che sa di solitudine. Sono proprio le parole di un giovane che interviene al dibattito all’Arena Sacher, presente anche Nanni Moretti che su queste questioni a suo tempo ha anche riflettuto con il suo film La cosa, a fare emergere l’assenza di qualcosa di grande a cui più o meno appartenere.

 

 
Sembra che oggi manchi quel catalizzatore che trasformi queste energie, queste potenzialità, l’incessante elaborazione che proviene dai giovani, ma si materializza anche nelle fasce di età più anziane, nel ceto intellettuale, in evento manifesto, in un rito di appartenenza che possa unire, invece che dividere. Berlinguer ebbe queste capacità e poté puntare, insieme a qualche milione di italiani ad una grande ambizione. Oggi di questa idea progressista, frammentata e piuttosto smarrita, ha anche forse smarrito l’ambizione, nonostante la mole di lavoro che si compie che rischia di disperdersi senza produrre frutto. Segre ha indagato su questo disagio e il suo film al di là di ogni altro pregio ne ha sicuramente un altro che è quello di insegnare l’ascolto dell’altro, di quel disagio politico o reale che attraversa le giovani e le vecchie generazioni. Noi e la grande ambizione sa mettere a punto un meccanismo di politica culturale che riempie un vuoto sagomando, per larghi tratti, qualche idea per il futuro.