Lo scorso 18 giugno ricorreva l’ottantesimo compleanno di Raffaella Maria Roberta Pelloni in arte Raffaella Carrà, la più grande icona della cultura pop italiana di tutti tempi, che ci ha lasciato il 5 luglio di due anni fa. Per omaggiare questo doppio anniversario che riguarda non solo la persona, ma la sua eredità culturale, Disney+ ha commissionato a Cristiana Farina, sceneggiatrice di uno dei melò di maggiore successo della televisione italiana degli ultimi anni, Mare fuori, e a Daniele Luchetti, che con film come Il portaborse, La scuola e Mio fratello è figlio unico ha raccontato miserie e nobiltà della società italiana degli ultimi decenni, il documentario Raffa. Il ritratto inedito di un’icona senza tempo, prodotto da Fremantle e distribuito da Nexo, nelle sale dal 6 al 12 luglio.
Il merito di sceneggiatrice e regista è di avere messo mano a un materiale d’archivio immenso, per una volta non solo quello delle mai abbastanza lodate Teche Rai, ma anche a quello di Mediaset e delle emittenti spagnole e sudamericane per le quali Raffa ha lavorato o che hanno seguito le sue tournée, selezionando circa 1200 clip, montate dai bravissimi Luca Manes, Chiara Ronchini ed Emanuele Svezia in un quadro ricchissimo di circa 180’, con una cornice altrettanto ricca fatta di pochissime sequenze di fiction in bianco e nero di Raffa bambina che sogna il suo futuro e delle interviste alle persone che hanno lavorato con lei, che l’hanno amata e l’hanno conosciuta sul set e fuori dal set. A contare non sono tanto le informazioni che ci danno Salvo Guercio (che funge a tratti anche da voce narrante), Barbara Boncompagni, Enzo Paolo Turchi, Caterina Rita, José Luis Gil, Nick Cerioni, Rosario Fiorello, Loles Leon, Tiziano Ferro, Matteo Pelloni, Licia Turchi, Anna Vasini, Frida Vasini, Gino Stacchini, Chiara Zoppolato, Marco Bellocchio, Renzo Arbore, Loretta Goggi, Emanuele Crialese, Bob Sinclar, Saverio Ariemma, Luciana Verdeggiante, Danilo Vaona, Giovanni Benincasa, Francesco Boserman, Juan Luis Iborra, Luca Sabatelli, Paola Dee, ma le chiavi di lettura, non sempre concordi, sulla vera identità di Raffa e l’affresco di storia italiana che passo passo si compone attorno a lei (come la sfortunata concomitanza tra il programma Ma che sera con i giorni funesti del rapimento di Aldo Moro).
L’intelligenza di Farina e Luchetti sta proprio nel non spingere troppo nella costruzione di un ritratto chiuso, univoco, definitivo, quello che si fa quando si vuole realizzare un tributo, che quasi sempre diventa agiografia, o quando si vuole scavare nel lato oscuro del personaggio in cerca di scoop, che quasi sempre sono poco più che inutili gossip amplificati. Raffa ha custodito gelosamente la sua vita privata, rendendo la Pelloni opaca, per lasciare tutta la luce, non solo quella della ribalta, alla Carrà. Al di là dei costrutti semplificati che lei stessa usava per raccontare/celare se stessa nelle interviste, come la mancanza di una figura paterna alla quale tutti gli intervistati riconducono le gioie e i dolori della nostra, o l’appartenenza al segno astrologico dei Gemelli per spiegare la duplicità Pelloni/Carrà, il film ci permette di cogliere l’essenza di Raffa spingendoci a cercarla non tanto in una profondità che si presume debba essere ancora sondata, ma in una superficie in cui quell’essenza è già tutta in bella vista e aspetta solo di essere rimessa in ordine.
Così la parabola della donna determinata che cerca il palcoscenico giusto su cui sfondare, passando dalla danza al cinema e infine, dopo avere fallito nei primi due, alla televisione, o la parabola della donna che ha sacrificato la vita privata (non si è mai sposata e non ha avuto figli) alla carriera, entrambe note, cedono il passo alla storia di una donna che, prima e meglio di molte altre, nell’industria dell’intrattenimento popolare italiano e di buona parte del mondo occidentale, è riuscita grazie a un controllo stupefacente del proprio corpo (inteso come corpo danzante, cantante, dialogante e soprattutto corpo mostrato) a renderlo il potentissimo medium di una comunicazione in grado di parlare a tanti pubblici diversi per estrazione sociale, cultura, orientamento sessuale.
Il tuca tuca di Turchi, i costumi eccessivi di Sabatelli, le coreografie di Landi e Japino, le invenzioni narrative di Boncompagni si sono sedimentati sul corpo della nostra, che, mentre ne venivano mostrate alcune parti (su tutte l’ombelico), diventava, a valle di una irresistibile sineddoche, bandiera di liberazione non solo del corpo di tutte le donne, ma anche (ce lo dice teneramente in lacrime Cerioni) di tutti coloro che nell’Italia bigotta degli anni Settanta-Ottanta si sentivano abitanti di un corpo o di una mente sbagliati. Non solo: le polemiche misogine della stampa degli anni Ottanta sui compensi da capogiro che la RAI tributava a Raffa si trasformano oggi nei segni di un’altra rivoluzione che in Italia non si è mai compiuta, quella della cosiddetta gender equality in ambito lavorativo. Altro slancio che mostra della vicenda della nostra uno dei lati più libertari e antesignani di un futuro non ancora arrivato. E infine: le accuse di pornografia del dolore rivolte a certi momenti del programma Pronto, Raffaella? e a Carràmba! Che sorpresa in toto si ribaltano oggi nel tributo all’intuizione geniale di una donna che, traslata dal totale del corpo che balla al primo piano del volto che si emoziona, ha accantonato la tv verticale della diva per passare a quella orizzontale del suo pubblico, precorrendo decenni di reality television a venire.
Quanti futuri inscritti sulla superficie di quel corpo, tra i più fotografati della cultura pop italiana, e quante promesse realizzate, quante libertà vissute… tutto espresso in Raffa grazie a un montaggio che fa dialogare eventi e/o segni vicini e lontani e a un sound design che tenta di mostrare nuda l’Imperatrice, controfigura femminile del protagonista della fiaba di Andersen, che Freud usò come metafora dell’inconscio, denudandone la voce, con un potentissimo effetto di straniamento: quelle parole, spogliate delle ritmiche incalzanti sulle quali sono state registrate, finiscono per dire di Raffa cose inedite e imprevedibili. Fermandosi nel racconto agli anni Novanta, Raffa cattura solo una parte delle libertà conquistate da Raffa, lasciandoci il desiderio che ai tre capitoli in cui è diviso il film ne segua un quarto che ci racconti delle libertà dell’ultima stagione della sua vita.