Sembra un po’ il mondo sotterraneo immaginato da Yu Likwai in Dance With Me to the End of Love, quel languido e tetro futuro in cui il grande regista (e DOP) hongkonghese aveva ambientato il frammento digitale realizzato per il Festival di Jeonju nel 2004. Ma la distopia forgiata da Norbert Pfaffenbichler per questo suo breve film sull’amore e sull’orrore intitolato 2551.02 – The Orgy Of The Damned ha un intarsio teratologico tutto suo, dolce nella sua crudeltà e tenero nella sua disperazione. Presentato a Rotterdam 2023 nell’ampia selezione Harbour, il film è l’annunciato episodio due di una serie creata da questo artista e filmmaker austriaco, di cui il Fantafestival 2022 aveva presentato il primo capitolo, intitolato semplicemente 2551.01 (di cui Duels aveva scritto dalla Settimana della Critica della Berlinale 72) La disposizione di base è eminentemente performativa: il setting sotterraneo lavora sulle ombre tinte nei colori primari, come per classica imbibizione; le figure sono presenze sceniche, che si definiscono tra la sagomatura dei costumi e quella delle maschere che coprono corpi e volti; la mancanza di dialoghi e l’impianto espressivo aderiscono a una chiara formulazione da cinema muto. La dimensione subumana dei personaggi attinge a una teratologia che rimanda al corpse paint di band come gli Slipknot o i Lordi, ma Pfaffenbichler sembra nutrire un disperato umanesimo che alla fine esprime una vaga dolcezza e crea un certo distacco rispetto alla scena che mostra.
Il protagonista della serie è un uomo che veste una maschera da scimmia, un disgraziato che vaga in questa suburbia fuori dalla realtà, una sorta di tunnel degli orrori perenni, inseguito da un detective e dai suoi assurdi sgherri che sembrano la versione punk dei Keystone Cops. Come fosse la versione horror del tramp chapliniano, il protagonista vaga in quell’inferno alla ricerca di una bimba col volto coperto da un sacco, affiancandosi a una wrestel mascherata che sembra innamorata di lui. Le sue disavventure sono marcate dagli incontri con mostruose figure incastonate in questo sulfureo scenario, che trova il suo apice d’orrore e disgusto in una sorta di dark room in cui teratologia e sessualità descrivono quell’orgia dei dannati cui il sottotitolo del film fa riferimento. Norbert Pfaffenbichler ha il piglio necromantico di uno Jörg Buttgereit meno immediato e più performativo. La sua visionarietà teratologica è un mix di ironia splatter fumettistica e figurazioni performative da gore teatrale, nutrita da un chiaro umorismo che il filmmaker rivendica senza mezzi termini quando definisce giustamente il suo film un horror slapstick. La struttura narrativa è esattamente quella rocambolesca, con fuga, inseguimento e scontro fisico estremo, arricchita però da un immaginario da sesso estremo. Ed è qui che trapela nel film un certo turbamento morale che tutto sommato appare inatteso in un prodotto come questo, puntato a rivivere “the original punk spirit of true independent filmmaking”, come dice la Sixpackfilms che distribuisce le opere dell’autore.