Su MioCinema le regole (già) rotte di Stay still di Elisa Mishto

Ci sono film che provano a dare spiegazione delle cose del mondo e del loro atteggiarsi, a volte ci prendono, in altre occasioni questa spiegazione naufraga dentro un mare tempestoso in cui si agitano le banalità e il già detto che tutto travolgono e tutto risucchiano dentro al buco nero della falsa novità. Stay still, fino all’8 luglio visibile su MioCinema, rischia pericolosamente questa seconda opzione. La sua protagonista è Julie (Natalia Belitski), una ragazza che finge di esser disturbata mentalmente e con i suoi dissennati comportamenti ha dilapidato una cospicua eredità dei genitori entrambi scomparsi. Si è rinchiusa in una clinica per malati come lei, ma il suo vero intento è quello di non fare nulla. Un segno che dovrebbe essere di ribellione nei confronti di una società che espelle dal mondo la formica non operosa, metafora dalla quale parte la storia. Nella clinica c’è anche Agnes, infermiera inquieta che ha avuto una bambina che forse non ama e avrebbe altre idee per la sua vita e il legame con Julie libera questi suoi desideri e li rende forse realizzabili. Il tema della ribellione ai canoni sociali costituirebbe l’idea centrale del film, idea che in verità si disperde senza mai diventare davvero centrata e centrale, in quella serie di piccoli eventi che caratterizzano la storia e che dovrebbero sottolineare, con insistenza a volte fastidiosa, la diversità di Julie e il suo essere contro le regole. Come spesso accade il cinema tedesco si fa squadrato e tetragono. Tedesca è la sua regista e il progetto è una coproduzione italo-tedesca, dove di italo c’è solo un silenzioso Battiston, anch’egli ospite della clinica, che sembra sottolineare, con la sua presenza scenica, la firma italiana sotto alla stesura dell’idea. Null’altro poiché null’altro c’è di italiano in questa operazione che faticosamente naviga in quel mare tempestoso.

 

 

Julie, peraltro, è una ragazza benestante, almeno lo è stata, prima di distribuire piscine ai conventi di suore in Finlandia (una ricerca dell’estremo che vuole essere sopra le righe, tanto da rasentare l’incredibilità e che si risolve, purtroppo, in una coerente banalità), per cui, ma qui si rischia di essere fuori luogo, può permettersi di non fare nulla. Viene in mente Moretti e le sue parole… si ma queste sigarette? Ciò è tanto vero che quando i soldi finiscono deve trovare un lavoro che, ovviamente, rifiuta. Julie non contesta per nulla, il suo è uno sguardo egoistico sul mondo, con lei al centro, tutto appare perfino trattenuto, il mondo del film è un mondo desolato, senza socialità, il suo pensiero del non fare nulla si esaurisce dentro le mura della sua stanzetta. Le regole del mondo non saranno mai rotte dalla modesta Julie che altro non ha nella testa che fuggire dalla clinica nella quale si è rinchiusa, forse fingendo una malattia mentale, segnata dai guanti domestici che indossa sempre e che toglierà (con altro prevedibile comportamento) solo alla fine del film. È il vizio di questo cinema che prova a rompere regole già abbondantemente rotte nel passato, un cinema che arriva tardi su idee già da altri possedute e alle quali è stata data forma. Ma il problema, a volte, non è neppure questo. Non c’è nulla di male a ritornare su macerie e su idee, l’importante è offrire un’impronta forte, una soluzione davvero dirompente, magari anche minimale nel racconto, ma di fatto di un vigore sostanziale notevole, che possa essere ricordato. Non è così per Stay still che si risolve nel riaffermare quello che in effetti sappiamo già da anni e cioè che a volte per stare fermo devi muoverti.