Tempo senza fine: a Locarno78 Mektoub, My Love Canto Due di Abdellatif Kechiche

Il dubbio è se scegliere i film che occupano la vita o quelli che si occupano di vivere, sì insomma se stare dalla parte delle opere che mettono radici nella storia dei loro autori o da quella degli autori che radicalizzano il rapporto con certe loro opere. Abdellatif Kechiche è uno che in qualche modo è transitato da un settore all’altro, portandosi dietro l’ossessione di un film infinito come Mektoub, My Love: Canto Uno, Intermezzoora finalmente anche il Canto Due, giunto un po’ a sorpresa nel Concorso di Locarno78. Film culto per qualcuno, tormentone per altri, preso tra narcisismo autobiografico e polemiche pre-testuali, infarcite di accuse mediatiche e addirittura puntate in tribunale: Mektoub, My Love sta occupando la vita di Kechiche da poco meno di un decennio (era il 2017 quando il Canto uno era approdato in concorso a Venezia) e giunge ora a una inconclusione con questo Canto Due, che in due ore e 15 minuti riprende le fila di una narrazione inceppatasi con l’Intermezzo, che nel 2019 aveva destato polemiche e aveva anche messo in ginocchio la produzione. Il materiale che compone il Canto Due dovrebbe essere in parte attinente al set pregresso, seguendo una continuity che non ha tempo e insiste su se stessa.

Lo snodo narrativo riprende un po’ da dove eravamo arrivati, del resto la qualità di questo film sta proprio nella sua narrazione incantata, nel suo procedere per avvitamenti ossessivi sul filo di una trasfigurazione autobiografica che Kechiche dipinge addosso al protagonista, Amin. Il quale, ormai venticinquenne, torna a Sète dopo gli studi parigini ed è pur sempre la perla della famiglia, quello col talento per avere successo e riuscire nel mondo, fortemente sognato, del cinema… La sua timidezza, il riserbo con cui accoglie e accetta di essere parte del mito del successo incarnato in lui dai familiari, è la traccia di una introflessione speculativa che accoglie dentro sé gli eventi e li contempla nella narrazione a venire. Che poi è pur sempre quella a cui stiamo assistendo da un decennio, incastonata in questo classico dream project di Kechiche. In Canto Due le ambizioni di Amin sembrano concretizzarsi nell’incontro casuale con Jack, un produttore americano in vacanza nella zona con la moglie Jess, celebre attrice televisiva: i due irrompono una sera nel ristorante di famiglia all’orario di chiusura e ottengono una cena privata, che aprirà le porte della loro villa a Amin e suo cugino Tony. Jack trova geniale la sceneggiatura che Amin gli ha dato da leggere (una storia d’amore di fantascienza tra una donna robot e un uomo…) e intende produrla dando il ruolo della protagonista a Jess. La quale, però, più che alla sua carriera sembra interessata a Tony, cosa che avrà il suo peso sul destino di tutti, in un finale che comunque resta ancora inconcluso, sospeso nel un perenne gioco al rimando che Kechiche sta adottando.

È ormai chiaro, infatti, che è questa la vera cifra stilistica del progetto Mektoub, My Love: a prescindere dalle condizioni personali di Kechiche (che non ha accompagnato il film a Locarno), si tratta evidentemente di un’operazione che in qualche modo ama restare prigioniera del proprio tempo, una stanza della memoria in cui l’autore s’è chiuso e persegue l’incanto della propria giovinezza, il fascino dei corpi giovani, il piacere del sesso, la gioia di una estate perenne che rimanda di continuo l’inizio dell’inverno con tutto il suo scontento, con la realtà della vita, con le illusioni rivelate… Amin corre e corre in un finale che non finisce, perché Mektoub, My Love è probabilmente un film che non deve finire, deve restare prigioniero della gioventù che canta e che sospende in un perenne intermezzo…

Lo spazio di Sète diffonde la sua luce da eterna vacanza, un po’ bruciata dal sole, un po’ traslucida nelle sue notti roventi, un po’ illusa nel suo connotarsi come luogo mnemonico in cui il presente è bloccato in se stesso, i corpi sono flagranti ma soprattutto fantasmatici, gli eventi accadono con una incidenza drammaturgica ingenua perché appiattita sulla loro dimensione occasionale. Ciò che sta accadendo con Mektoub, My Love è che la distanza, l’insistenza, la persistenza e la liminare dimensione onirica delle sue immagini, dei personaggi, dei luoghi, dell’accadere stesso…, insomma tutto questo sta prendendo il sopravvento sui limiti impliciti dell’operazione, spingendola nell’empireo un po’ astratto delle opere che travalicano il proprio statuto.

Locarno78 website: Clip di “Mektoub, My Love: Canto Due”