Quasi un thriller grottesco nel quale il tema delle corse ippiche è solo il pretesto per scrutare il mondo della malavita legata al mondo dei cavalli, ma soprattutto per raccontare di un radicale e inatteso mutamento del suo protagonista, Remo Manfredini famoso fantino, ma ora in declino. Lui assume droghe e questo non solo lo allontana dal boss Sirena che aveva fiducia nelle sue qualità sportive, ma, nella sua corsa sfrenata senza regole, lo divide soprattutto da Abril, la sua amata, fantino anche lei che aspetta un figlio proprio da Remo. Solo con un mutamento delle sue abitudini potrà riconquistare l’amore di Abril. Per un precipitare di eventi Remo finisce in ospedale e, nonostante la prognosi dei medici, riuscirà a sopravvivere, anzi arriverà a quel cambiamento che riapre i giochi d’amore con la sua Abril e il figlio che darà alla luce. Il film argentino è nella selezione del Concorso principale e gioca le sue carte su quel registro grottesco con il quale si vuole smitizzare e mettere a nudo, con la facezia di una verità inventata, il mondo della malavita fatta di anziani e viziosi signori in doppiopetto contro l’assunta purezza di un personaggio capace di una sua personale palingenesi per amore. Un registro che necessita, per funzionare a dovere, di una capacità reinventiva continua, ma che Ortega sembra trascurare in un avvitarsi inevitabile dentro un meccanismo che alla fine diventa un po’ logoro, che non diventa sguardo d’ambiente, ma solo assidua attenzione al suo personaggio, alla ricerca di quel lato funzionale all’empatia di Remo con il pubblico. In alcune occasioni si ride e anche di gusto, ma il film appare davvero senza via d’uscita in un susseguirsi di possibili gag che, tutte, riguardano questo fantino innamorato che dovrebbe vivere senza funzioni cerebrali o quasi, ma che si esauriscono nel loro stesso compiersi.
Al centro c’è in verità il tema del cambiamento, invocato dalla sua amata e che Remo mette in pratica con originale e caparbia volontà a rischio della sua stessa vita. Ma questo espediente, in tema d’amore, non appare sufficiente a salvare un film che sembra lavorare in quell’area almodovoriana, un po’ stantia in verità, dove qualche sorpresa nasce ma resta annegata dentro un impianto che non trascina lo spettatore dentro quel mondo reinventato che la palingenesi del coraggioso Manfredini ha costruito. Ortega in verità con L’angelo del crimine del 2018 nella selezione di Un Certain Regard era stato candidato all’Oscar come miglior film straniero. Con questo bizzarro El jockey che si nutre di venature surreali – tra le più riuscite la citazione bunueliana della formica che entra nel naso del bambino – non ripete quell’esperienza. Pur con le sue stranezze che lo fanno diventare una specie di noir quasi nonsense, il film non sa trovare una strada per affascinare completamente il suo pubblico. La storia della rinascita di Manfredini non sa farsi autorevolmente strada dentro il susseguirsi di eventi che tendono più a stupire che a lavorare davvero sul personaggio. Ortega si fa intrappolare dal suo stesso stile, dal registro scelto e inventa, ma a volte sembra farlo senza sostanza, senza guardare al resto se non alla bizzarria di una condizione narrativa che chiede di alzare la posta, ma senza uno sguardo complessivo sul funzionamento del meccanismo messo in opera. Il cinema argentino ci aveva abituato ad altre atmosfere e Ortega nel suo tentativo di scrutare l’animo di un perdente nel momento del mutamento che lo farà diventare vincente, spreca un po’ questo spunto e di questo film si ricorderanno alcuni momenti che restano originali, ma senza altre suggestioni che diano il segno di un guizzo d’autore che possa restare nella memoria.