
La trasparenza delle immagini è quella che lascia vedere il tempo attraverso lo spazio, inverte il rapporto tra l’esserci e lo sparire e si costituisce come testimonianza. Mostrare il passato per far vedere il presente, prima di ogni strategia drammaturgica o comunicativa: Gaza com’era, nel 2001, odissea nello spazio che separa le tre cassette MiniDV girate all’epoca da Kamal Aljafari, dal tempo degli schermi su cui verrà proiettato With Hasan in Gaza, il film in cui sono confluite, che troviamo ora in Concorso a Locarno78. Kamal Aljafari confessa di non avere quasi memoria dei giorni in cui ha girato quelle immagini… Eppure queste immagini sono la memoria di Gaza, qualcosa di concreto che appartiene al tempo della realtà.
Le immagini nascono da una ricerca senza esito, quella di un compagno di prigionia con cui il regista aveva condiviso mesi di carcere, qualcuno che Aljafari non troverà mai. Hasan è la guida che lo accompagna, oggi un fantasma, perso anche lui nella distanza del tempo: uno spettro, praticamente, come del resto tutti i volti che appaiono nel film. Non c’è tempo per la riflessione, nelle immagini che lo compongono, tutto scorre nel filmato che raccoglie l’inutile ricerca, destinata a diventare il pretesto per stare nello spazio di un luogo senza tempo. Gaza, già nel 2001 sospesa sul fronte diffuso di check-point israeliani, case di civili bombardare durante uno dei tanti cessate il fuoco traditi, insediamenti di coloni dietro l’angolo, strade con macerie e negozi chiusi, bar in cui gli uomini forzatamente inattivi giocano a carte. E poi bambini: tanti, sempre limpidi nel loro bisogno di correre e di mostrarsi. Bambini che chiedono sempre di essere ripresi, fotografati, che è la cosa più straziante di questo film: la costante domanda silenziosa che ti aggredisce e ti fa chiedere cosa è rimasto oggi di quei piccoli, dei loro sguardi, chi sorridente chi più turbato, tutti spinti nel perenne gioco del vivere che a noi appare sopravvivere.

Che detta così suona anche retorica, come riflessione… Forzatamente segnata dalla buona coscienza che la distanza della comunicazione impone alla flagranza del delitto compiuto su quei volti e su questa popolazione. Ma nel film di Kamal Aljafari è davvero questo il punto cruciale, perché si tratta di un lavoro che cade in perpendicolare sul dispositivo del found footage applicato dal regista. Sono trascorsi 24 anni da quel 2001, ma non c’è nessuna distanza storica a salvare la drammaturgia documentaria dell’attraversamento di un luogo segnato dalla Storia. Tutto è ancora qui, presente ai corpi fantasma di quelle immagini, perché il faccia a faccia del popolo palestinese con la sua programmatica cancellazione dalla faccia della storia ad opera dello stato israeliano è un dato drammaticamente chiaro e presente. Le immagini servono a dire ciò che è indicibile, ovvero la verità della memoria che si finge di dimenticare. Le immagini che, se esistono, come dice Aljafari, “esistono anche di più in Palestina, perché la Palestina e i Palestinesi vengono cancellati”: la memoria fertile… Michel Khleifi, sempre e ancora lui, lo aveva capito tanti anni fa.

E allora non c’è che da stare a guardare la lunga notte di quiete ripresa dalla finestra, con solo qualche colpo di mortaio, botta e risposta di routine: nulla di preoccupante dice Hasan a Kamal, stai qui e filma, non ti succede nulla. E poi la mattina sulla spiaggia: un padre appena liberato di prigione e i suoi figli che giocano con le onde e con un pesce spiaggiato, che diventa il loro trofeo da mostrare alla telecamera di Kamal. E ancora le lunghe traversate a bordo di taxi e auto, le macerie di una casa abbattuta dall’esercito israeliano per far spazio all’insediamento dei coloni, mentre in sottofondo risuona il megafono del soldato israeliano che controlla il check-point…Lo stordimento del presente di allora sta tutto nel filmare senza ratio di Kamal Aljafari, la mancanza di una strategia nella ricerca, il semplice bisogno di stare nello spazio di Gaza cercando le tracce di una memoria di anni prima: un effetto domino sul tempo che cade progressivamente dal passato su un presente che non ha Storia. Ieri come oggi, macerie dopo macerie: la maledizione delle immagini. La benedizione della testimonianza.


