Orion Lee (left) as "King-Lu" and John Magaro (right) as "Cookie" in director Kelly Reichardt's FIRST COW, released by A24 Films. Credit : Allyson Riggs / A24 Films FIRST COW_11.17.18_AR_0377.ARW

Il cuoco, il cinese e la vacca: su MUBI First Cow di Kelly Reichardt

“The bird a nest, the spider a web, man friendship”: è a questo verso di Wllliam Blake che Kelly Reichardt si affida per definire l’universo poetico del suo nuovo film, First Cow, su MUBI dal 9 luglio. Ancora l’Oregon, di nuovo in versione fine Ottocento, tra coloni e prime accensioni, nel bene e  nel male, del Grande Paese. Rispetto a Meek’s Cutoff, che in qualche modo è il film gemello di questo First Cow, Kelly Reichardt sceglie un taglio più lieve, azzera la tensione “western” e gioca tutto sulla rappresentazione d’ambiente, sulla ricerca antropologica, sulla ricostruzione storica della vita nei primi insediamenti della società americana. L’amicizia è la vera casa su cui si costruisce la possibilità di convivere, sembra voler dire la regista, che infatti si dedica al racconto del legame che unisce Cooky, un pacifico cuoco, e King Lu, un solitario cinese. I due si trovano quando il secondo, inseguito da malintenzionati, viene aiutato dal  primo, che lo nasconde nella sua tenda, nell’accampamento di cacciatori con i quali si muove.

 

 

Quando, tempo dopo, i due si ritrovano in situazioni più normali, la solidarietà diventa ben presto amicizia e la loro vita in comune, in una capanna ai margini di un centro abitato, diventa il perno delle loro esistenze. Le cose inizieranno ad andare meglio quando un ricco signorotto locale porta una mucca, che Cooky munge di nascosto ogni notte per procurarsi il latte con cui impastare le frittelle che tanto successo riscuotono ogni giorni al mercatino locale. Il film è tutto qui, nel lieve apologo sulla nascita di una società americana in cui lo schema classico del buddy movie si stempera nella ricostruzione storica e si confronta con la narrazione dei primitivi schemi di società capitalista e classista espressi nel mondo ancora abbozzato dei coloni americani. Ci sono tracce analitiche precise, che offrono una lettura semplice e appropriata della società americana, ma nell’insieme First Cow appare un’opera fragile, di sicuro meno interessante dei lavori precedenti della regista, da Wendy and Lucy, a Old Joy a Night Moves. Anche se capace di mantenere inalterata la lucidità d’analisi che applica alle parabole umane e sociali su cui si esercita, Kelly Reichardt in First Cow sente troppo lo sforzo della ricostruzione storica, il peso della contemplazione di gesti, abiti, oggetti, abitudini, pratiche della vita dei primi coloni americani, messa in scena con una certa leziosità da museo antropologico e una sostanziale pedanteria da ricercatrice. Resta un film lieve e sereno, che ha le sue qualità ma che lascia flebili tracce.