Il film dell’esordiente libanese-argentino Barbari è forse il tentativo più riuscito di scandagliare una intimità invisibile dei personaggi, ridisegnando una mappa genetica della propria vita presente e futura, in una onniscienza del futuro che non è divinazione o preconizzazione, ma è sapienza di sé stessi, coscienza della propria vita. Sotto altro verso il racconto, breve e affascinante, della vita di questi tre o quattro o forse più personaggi che popolano il film, diventa consapevolezza del presente e manifestazione di quella amplificazione del banale quotidiano che appartiene di diritto al racconto novecentesco. Barbari sembra volersi appropriare di quella nuova epica che coglie i personaggi nella loro mediocrità giornaliera elevando la loro routine quotidiana ad atto eroico contro lo smarrimento e l’incertezza del futuro in un’epoca che non sa immaginare più il tempo che verrà. Anche qui tutto accade attraverso la lettura del flusso delle loro coscienze, rivelando non l’immaginario, ma la duratura percezione del personalissimo senso dell’esistere. Una percezione che sa diventare traccia di quell’imprevedibile futuro che eternamente domina il nostro pensiero. È così che un banalissimo pomeriggio in cui Etienne e altri due amici, ai quali un altro si aggiungerà, decidono di andare a provare l’ebrezza del sesso con una prostituta, diventa crocevia esistenziale, pietra angolare della propria esistenza. Quelle ore così uguali a tante altre, nelle quali tutto sembra scorrere senza sussulti o eventi decisivi da ricordare, saranno ricordate come decisive e non per la fallimentare esperienza sessuale.
Tutto è cupo e perplesso pur nel vociare allegro della comitiva e il trasgressivo divertimento sessuale costringerà Etienne e i suoi amici a confrontarsi con le responsabilità, con l’etica che dovrà guidare i loro comportamenti futuri. Quel pomeriggio sarà lo snodo che getterà luce sul loro futuro. Barbari sperimenta il cinema della coscienza e costruisce con immagini consuete, ma con una scrittura densa e avvolgente, il momento epifanico della vita, il racconto dell’ingresso nel mondo della virilità, in quello delle responsabilità che ne derivano. Death of virgin si fa originale racconto di ciò che non è narrabile se non attraverso un ragionato reticolo narrativo che il film sa costruire. Non è semplice mettere in scena la comparsa della consapevolezza dell’esistere, della vita che improvvisamente sembra mutare direzione e quindi, al contempo, a scegliere per il presente e fare i conti con il proprio il futuro. È l’ineffabile volontà di vita che guida Etienne e i suoi amici, che trovano nella materialità del presente l’immaterialità dell’oscuro futuro anteriore, quello a tutti sconosciuto. Barbari sembra lavorare sulle mappe genetiche dei suoi personaggi leggendone le percezioni nelle quali il futuro dialoga con il presente perdendo ogni materialità sensibile per trasformarsi in tragitto già segnato, in vita già vissuta con rassegnata accettazione. Death of a virgin, and the sin of not living si fa dispositivo di lettura di questi segni che vengono dal presente e tracciano il futuro, tutto affogato nella quotidianità di quell’ordinario pomeriggio estivo per i quattro giovani che si affacciano al cospetto della vita reale. Il film contiene la forza celata di un esordio potente, fa venire in mente il primo racconto di Dubliners di Joyce, dove una normale giornata in cui i due ragazzini marinando la scuola vivono l’esperienza determinante della loro esistenza, oppure il magnifico Stand by me di Rob Reiner che sembra tracciare con un racconto meno rarefatto di quello di Barbari, ma con le stesse intenzioni, il percorso futuro e immutabile dei giovani protagonisti, che affrontano il rito iniziatico che li condurrà al di là della linea d’ombra della loro adolescenza.
Lo stesso accade ad Etienne e ai suoi amici, ma qui tutto accade dentro una anomala coralità nella quale trova spazio una silente sensibilità, tutta intima e trattenuta che sembra aleggiare sui personaggi. È questo scarto tra il reale che le immagini raccontano e la sorprendente e inattesa manifestazione della loro vita interiore che fa brillare di luce propria questo piccolo film che al contempo sa raccontare il disagio del vivere, tutto visibile nella consapevolezza di un insoddisfacente presente, ma anche il senso di finitezza che si atteggia come destino. Un destino che si rivela nei flussi di coscienza dei personaggi, un mondo interiore che si appropriarsi della scena e nel quale Barbari sviluppa il suo film. Restano tratteggiati i profili ricomposti e rassegnati di una umanità fragile, ancora più fragile in quella virilità esibita, ma disfunzionale, nella quale si consuma il rito sessuale. È proprio l’incontro con la giovane e bella ragazza siriana, che suo malgrado lavora facendo la prostituta, a risvegliare in Etienne, sempre dubbioso e insicuro, il desiderio della conoscenza dell’altro come completamento della propria esistenza annullando quel possesso senz’anima dell’atto sessuale che sta compiendo. Etienne vive forse per la prima volta lo spreco dell’esistenza e per restituire senso si concentra sulla bellezza segreta della donna, il suo desiderio di conoscenza riempie quel vuoto che lo turba. Il giovane Barbari presente con questo film d’esordio alla Berlinale 2021, dimostra sapienza nel racconto dell’animo dei suoi personaggi, le voci interiori che sono voci represse della coscienza che hanno del poetico, posseggono quel carattere che segna lo scarto tra la prosaica quotidianità e la poetica aspirazione ad una desirata completezza. Lo stesso destino lega Etienne a sua madre. Entrambi non sanno di essere legati a doppio filo dallo stesso desiderio quello di trasformare in poesia l’intima voce che spinge diventando incomprensibile inquietudine e che si acquieta solo tra le righe dei versi che forse un giorno qualcuno troverà insieme ai segreti dell’anima di chi li ha scritti.