Animotion – Academy of (ani)Motion Picture Arts and Sciences

Seconda puntata di Animotion, la rubrica che fa il punto sullo stato dell’animazione curata da Matteo Mazza e Simone Soranna, con il commento agli Oscar.

 

Flee di Jonas Poher Rasmussen

Purtroppo, da un po’ di anni a questa parte ormai, anche la categoria del miglior film di animazione rientra tra quelle più prevedibili e scontate all’interno della serata di premiazione degli Oscar. Qualche giorno fa, il Pinocchio diretto da Guillermo del Toro e Mark Gustafson (foto in apertura) si è aggiudicato una delle statuette più telefonate dell’anno, confermando una linea editoriale (se così possiamo definirla) non propriamente esaltante. Se infatti nella categoria del miglior cortometraggio animato (egregiamente analizzata dal nostro stimato amico e critico Andrea Fontana in questo articolo) non manca uno sguardo teso alla sperimentazione, alla creatività produttiva e a una più variegata e sconfinata idea estetica – pur rimanendo negli ambiti del mainstream, sia chiaro – il lungometraggio di animazione è stato a lungo soggiogato dallo strapotere di casa Disney per poi provare ad affrancarsi timidamente ogni volta che questa tendenza sembra essere decisamente straripante, quasi come per rifiatare un attimo prima di una nuova scorpacciata.

 

Encanto di Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith

 

Encanto, Soul e Toy Story 4 sono i tre titoli che separano Pinocchio da Spider-Man – Un nuovo universo. Prima del Tessiragnatele, Coco, Zootropolis, Inside Out, Big Hero 6, Frozen e Ribelle tennero banco consecutivamente, “fermati” solo dal Rango di Gore Verbinski. Al di là del gradimento o meno riposto nei confronti di questi titoli, il palmarès denuncia una miopia di sguardo non indifferente. È solo quando si esce dal seminato che l’animazione riesce a salire in cattedra. La stop-motion di del Toro trionfa per la seconda volta in oltre vent’anni (il primo film fu lo strepitoso Wallace & Gromit: la maledizione del coniglio mannaro della sempre eccezionale Aardman Animation), così come le intuizioni grafiche del film sul “nuovo” Uomo Ragno sono state apprezzatissime per smorzare il canone di un digitale tanto curato quanto canonico che ormai è il marchio di fabbrica di casa Disney e Pixar.

 

Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro di Nick Park, Steve Box

La cinquina di quest’anno lascia però ben sperare perché, al di là degli evitabili Red e Il mostro dei mari (titoli probabilmente inseriti al rush finale per ragioni di potere produttivo e quieto vivere) è stato dato spazio a operazioni più indipendenti e curiose come Marcel the Shell o monumentali ma audaci come Il gatto con gli stivali 2 (uno dei titoli più sottovalutati della passata stagione). Manca ancora una vera e propria apertura verso oriente, manca la conferma di un’attenzione verso un’animazione autoriale che lo scorso anno aveva “trionfato” con la nomination a Flee di Jonas Poher Rasmussen (che però si è rivelato, almeno per ora, una mosca bianca), manca insomma l’intenzione di indagare traiettorie meno battute, sguardi meno commerciali e autori o case di produzione più intime ma calorose.

Forse però non è questo lo scopo di una premiazione come quella degli Oscar. Forse dovremmo imparare ad accontentarci e a gioire per un premio a un regista messicano che si cimenta in un adattamento complicatissimo e molto ambizioso (con tutti i pregi e i difetti del caso) girato con una tecnica che rischia di svanire. Forse in fondo va bene così, augurandoci però che non debbano ora tornare necessariamente altri filotti Disney a rompere la magia che loro stessi hanno contribuito a creare.