Nonostante Norimberga, la coscienza collettiva tedesca si trova a fare costantemente i conti con lo spettro di un passato ingombrante con cui, comprensibilmente, fare definitivamente pace è tutto fuorché semplice. Le opere che toccano più o meno direttamente certi nervi scoperti sono diverse: da L’Onda, di Dennis Gansel a The Experiment di Oliver Hirschbiegel, al ben più leggero, per lo meno nei toni, Lui è tornato, di Timur Vermes. La forza di Lui è tornato è proprio la capacità di affrontare un tema difficile e complesso con grande levità grazie a un’ironia sempre calibrata alla perfezione, Vermes non sta indietro ma non calca mai la mano, che gli permette di rendere fruibile, e addirittura godibile, una soluzione narrativa potenzialmente indigeribile. Con la stessa leggerezza stilistica Vermes affronta un tema complesso e articolato come l’immigrazione nel suo romanzo Gli affamati e i sazi (Bompiani, pag.512, euro 22) , una storia corale che racconta la marcia di centinaia di migliaia di migranti, guidati da una conduttrice televisiva, dall’Africa alla Germania. L’approccio di Vermes è definibile, se non proprio cinico, quantomeno disilluso: le parti in gioco, gli attori di una vicenda estremamente complessa e articolata, sono mossi da motivazioni concrete e mai banali, in un intreccio di interessi che crea un equilibrio mostruosamente complesso in grado di sostenere in maniera plausibile una situazione che corre costantemente sul limite del plausibile senza mai cadere nel paradossale. Tutti agiscono per una ragione e, senza falsi moralismi, la ragione non è mai slegata dall’interesse.
Fama, potere o sopravvivenza, tutte variazioni su un unico tema, una motivazione basilare che unisce le visioni che i personaggi hanno del mondo, una varietà di sguardi che va dal tatticismo della politica all’ingenuità speranzosa dei migranti in cammino passando per il senso pratico che guarda al guadagno immediato che guida una moltitudine di figure che stanno nel mezzo. L’ironia e la lucidità sono la cifra di Vermes che mai, nemmeno nei momenti più drammatici, perde la presa su uno stile distaccato, quasi asettico, soluzione ideale per raccontare la complessità del reale con una precisione tanto fredda quanto necessaria in un periodo in cui l’eccesso di narrazioni di pancia, che fanno leva su un’emotività facile quanto scorretta, ha bisogno di un contrappeso che riporti il dibattito nei binari dell’analisi razionale. Gli affamati e i sazi è un libro importante prima ancora che bello.