Lavoro a mano armata (Dérapages): su Netflix gli slittamenti di genere e storia

Alain Delambre (un sempre convincente Éric Cantona, alla sua prima esperienza seriale) è un senior manager che è stato capo del personale per 25 anni, salvo poi ritrovarsi a casa quando la sua azienda si è ridimensionata. Disoccupato da sei anni, accetta umili lavori, anche notturni, perché non vuole perdere l’appartamento – mancano tre anni per chiudere il mutuo – in cui abita con l’amata moglie Nicole (Suzanne Clément). Il suo temperamento, però, mal sopporta le ingiustizie e le bassezze e quindi si trova spesso nei guai. In suo soccorso accorrono la figlia minore, Lucie (Alice de Lencquesaing), avvocato, e anche la maggiore, Mathilde (Louise Coldefy), incinta, sposata a un bancario (Nicolas Martinez) che il suocero non regge. Quando la moglie lo sprona a partecipare a un colloquio di lavoro che riguarda proprio il suo ambito di competenza, Alain inizialmente non ne vuole sapere, poi si ricrede rendendosi conto che a 57 anni è la sua ultima possibilità. Scopre così che dovrà partecipare a un gioco di ruolo anomalo: il presidente (il freddo e machiavellico Alex Lutz) di un grande gruppo industriale, la Exxya, ha dato mandato di inscenare un sequestro per valutare l’effettiva fedeltà dei manager all’azienda, in modo da trovare l’uomo o la donna a cui poter affidare il licenziamento di 1250 persone nello stabilimento di Beauvais. In cambio dell’assunzione Alain e gli altri candidati saranno in contatto diretto con il commando suggerendo le domande da fare. «Questo lavoro è la mia vita», dice Alain e non esita a rischiare il tutto per tutto, spingendosi oltre il limite e mettendo a repentaglio i rapporti familiari, per ottenere il posto… A un certo punto, però, si rende conto di essere una semplice pedina in questo gioco al massacro, anche lui interprete di un ruolo, quindi manda tutto all’aria con conseguenze drammatiche.

 

 

Prodotta da Arte e poi acquisita da Netflix, Lavoro a mano armata parte come una miniserie in sei episodi sulla disoccupazione al limite del distopico, ma poi sterza bruscamente verso il thriller, lo psicodramma familiare per finire con il legal drama. Come rivela il titolo originale Dérapages ci sono cambiamenti improvvisi e inattesi, di genere e trama, che tengono sulla corda gli spettatori e gli stessi personaggi coinvolti nella storia. Scritta da Pierre Lemaître (con Perrine Margaine), che la adatta dal suo bellissimo romanzo Cadres noirs (tradotto in italiano appunto come Lavoro a mano armata) e diretta da Ziad Doueiri (regista de L’insulto e della serie Baron noir), Dérapages è ispirata a fatti realmente accaduti e si configura come un interessante social thriller in cui Alain finisce per essere il vendicatore di un sistema ormai assodato, un novello Robin Hood, aiutato nella sua lotta da Little John, il fedele amico Charles Bresson (Gustave Kervern), un hacker ai margini della società. 

 

 

Un po’ scontata la scelta della confessione in macchina all’inizio degli episodi: con il cranio rasato in stile Bronson, Alain è in prigione. Evidentemente qualcosa è andato storto, e lui ricostruisce a posteriori la vicenda che lo ha portato dov’è, ricorrendo a frasi lapidarie, ma troppo a effetto: «La violenza è come l’alcol e il sesso. Non è un fenomeno, è un processo» o ancora «La collera è come il denaro. Quando ce l’hai cresci e a un certo punto esplodi», o anche «Il mondo imprenditoriale è come il Far West: bisogna essere armati». La parte in carcere di fatto risulta essere la meno convincente con personaggi al limite della macchietta e una sensazione di déjà vu. Inedita, invece, l’ambientazione parigina che ha privilegiato le torri del 13° arrondissement e i freddi palazzi della Défense. Nonostante gli ottimi ascolti (in Francia su Arte ha avuto una media di 2,2 milioni di spettatori a episodio, pari all’8,6% di share), difficile al momento intravedere una seconda stagione, nonostante il finale la lasci presagire, per le incompatibilità che sono emerse nel corso della realizzazione: come ha rivelato il regista in un’intervista a Première la scelta di Éric Cantona («Non sapevo chi fosse Cantona, lo giuro!») ha causato il ritiro di Pierre Lemaître, contrario a un personaggio così carismatico. Peccato perché mai personaggio fu più azzeccato.