Il Cinema Ritrovato – Le mura di Malapaga di René Clément: Gabin, un uomo a cui si spara…

«Io non sono un uomo come gli altri… a me si spara…» osserva amaro Pierre (Jean Gabin) in Au-delà des grillesLe mura di Malapaga (1949) di René Clément. L’uomo (Gabin, magnifica gueule francese) è ricercato per omicidio, e trova rifugio a Genova, dopo avere viaggiato come clandestino su una nave. In effetti quando Pierre tenta per la prima volta di reimbarcarsi, scavalcando un cancello, viene subito inseguito da un carabiniere che, senza intimargli nemmeno l’alt, gli spara. All’interno della Rassegna dedicata a Gabin dal Cinema Ritrovato, oggi è stata proiettata una copia del “mélo italiano” del divo francese, diretto da Clément e scritto con la collaborazione di Cesare Zavattini e Suso Cecchi D’Amico. È un incontro suggestivo e interessante tra il realismo poetico francese e il neorealismo italiano (ebbe enorme successo a Cannes: migliore regia e interprete femminile Isa Miranda, nel ruolo dell’ostessa Marta che s’innamora di Pierre). Del personaggio di Gabin, al principio, intuiamo solo che è squattrinato, sappiamo che non si lamenta mai (nemmeno quando gli viene tolto un dente malato senza anestesia), e che davanti alle ingiustizie prende sempre la parte dei più deboli.

Si scopre però che, nella patria da cui fugge, ha davvero assassinato la sua amante, che lo stava lasciando per un altro uomo. Pierre convive con la colpa, ha lo sguardo segnato dalla violenza, la disillusione per marchio. Chissà se Fabrizio De André, quando ha scritto la sua inarrivabile canzone Il pescatore, ha tratto ispirazione per il personaggio dell’“assassino” anche da questo film. I luoghi protagonisti sono infatti proprio i carruggi di Genova. Molti personaggi secondari, anche nella versione originale francese, parlano in dialetto genovese stretto. Gabin è in stato di grazia, gli basta uno sguardo o un’alzata di sopracciglio per esprimere il suo tormento. Clément riesce a inquadrare in maniera potente le atmosfere notturne delle calate dei vecchi moli o, per dirla ancora con De André: «in quell’aria spessa carica di sale e gonfia di odori…». Le ombre, i fumi, il buio a cui Pierre, cane randagio braccato, pare appartenere e al contempo adattarsi.