Martin Scorsese: …e Oshima mi aiutò a finire Toro scatenato

In occasione dell’uscita di Toro scatenato in 4k proponiamo degli estratti da interviste tratte dal n.500, Cahiers du cinéma, marzo 1996, uscito anche su Martin Scorsese Il bello del mio mestiere – Scritti sul cinema (Minum Fax) e dal Los Angeles Times del 27 maggio 1979.

 

Io e la boxe

De Niro voleva fare Toro scatenato. Io no: capivo poco di pugilato. Cioè, capivo soltanto che è una specie di partita a scacchi fisica. Ci vuole l’intelligenza di uno scacchista, ma la partita la giochi col corpo. Uno può essere completamente ignorante e rivelarsi un genio nell’arte del pugilato. Quando ero piccolo, guardavo al cinema gli incontri di pugilato, che erano ripresi sempre dalla stessa angolazione, e non riuscivo mai a distinguere i pugili. Mi sembrava noioso e in più non ci capivo niente. Ma avevo un’idea, per quanto minima, delle motivazioni di un pugile, e capivo perché Bob volesse a tutti i costi interpretare il ruolo di Jake La Motta. Proveniva dallo stesso ambiente di operai italoamericani; da ragazzi lui è il fratello erano due ladruncoli e questa era la storia di due fratelli…

 

 

 

Dentro la testa dei personaggi

Quel che contava per me non era la boxe. Toro scatenato non è un film sulla boxe, a me la boxe non piace. Quel che mi interessa è quello che succede dentro la testa dei personaggi. Messe insieme le sequenze di boxe arrivano a 15 minuti, ho voluto che fossero molto elaborate, che rimanessero impresse nella memoria dello spettatore. (…). Jake si affida all’istinto, cerca una vita meno complicata e, in fondo, più umana. Non sa quello che fa, non può spiegare con le parole le sue azioni. Nel modo di essere di Jake c’è il lato mistico del mio film e la ragione per cui l’ho girato. Oshima, un regista che ammiro, mi ha aiutato a terminarlo. Gli abbiamo mostrato la scena in cui Jake picchia il fratello. Dopo questa sequenza – mi ha detto – dovete finire il film molto rapidamente. Aveva ragione, perché poi si produce una rapida disintegrazione e la storia deve chiudersi, tralasciando qualsiasi regola drammaturgica.

 

Disegnare le scene sul ring

Ho disegnato tutte le scene di combattimento. Mi ricordo che un giorno Bob mi portò a vedere il suo allenamento per farmi osservare i colpi. Lui era sul ring. A un certo punto distolsi lo sguardo. Bob venne da me e mi disse: “Stai facendo attenzione?”, e io risposi:”Sì, sì”. E lui continuò guarda che mi sto ammazzando di fatica, mi lascio mettere al tappeto e lo faccio per te…” Poi risalì sul ring. Ma quello che lui non sapeva era che mi stavo accorgendo di non potere riprendere tutto questo frontalmente, in modo neutro, perché non avrebbe dato l’effetto giusto. Mi dicevo: bisogna riprendere il combattimento dall’interno del ring. Bisogna girare in maniera molto dettagliata, molto elaborata. (…) Ciò che mi colpì quel giorno fu l’enormità del compito che mi attendeva se volevo disegnare il film: non dico farlo, ma disegnarlo, disegnare le singole scene di combattimento. Girammo prima quelle, per dieci settimane; il resto delle scene con gli attori, durò altre dieci settimane. (…) Inoltre dovevamo fare attenzione al fisico di Bob; per quanto riguardava la ripresa giornaliera delle riprese, ma devo dire che sul ring aveva un’energia straordinaria . Le riprese delle sequenze di combattimento equivalevano a quelle di dieci film messi insieme.