Lo strano caso di Frédéric Schoendoerffer, dei cui film non leggerete mai su “Libé” o sui “Cahiers du cinéma”, se non eventualmente per stroncarli. E invece è uno bravo, come conferma il suo ultimo polar Le convoi, inedito in Italia. Schoendoerffer è figlio d’arte. Suo papà Pierre firmò nel 1992 il notevole Diên Biên Phu, tuttora proiettato oltralpe in un sacco di licei, memore della sua esperienza in guerra (ma il suo capolavoro è La 317e Section del 1965, sullo stesso argomento). Pierre Schoendoerffer partì volontario nel 1952 per l’Indocina, divenne reporter e documentarista sul campo per poi essere fatto prigioniero proprio nella battaglia di Diên Biên Phu, che doveva filmare e che segnò la disfatta francese in Vietnam. Frédéric ha un altro taglio, e mentre il suo “erede” Fred Cavayé, dopo l’insuccesso di Mea Culpa (meno riuscito dei suoi due precedenti Pour elle e A bout portant ma comunque tosto) è stato costretto a darsi alla “comédie potache” con Un tirchio quasi perfetto, lui resta fedele al polar. Vivaddio.
Le convoi racconta il viaggio da Malaga a Parigi di un convoglio di trasportatori di droga. Tre automobili con equipaggio (due persone a bordo) e carico (una tonnellata di cannabis) più una quarta che fa da civetta per segnalare inseguitori, posti di blocco, sbirri. Sulla civetta Benoît Magimel, già protagonista di Truands (2007), che di Frédéric Schoendoerffer resta il miglior film e del polar in generale ormai un classico (tra l’altro con una fenomenale, meravigliosa Béatrice Dalle… ma lasciamo perdere). I due fratelli del primo convoglio finiscono nei guai, la guardia civil gli spara addosso e il superstite ferito prende in ostaggio una turista francese (Reem Kherici). Interviene Magimel che risolve a modo suo le cose, un po’ gli scoccia doversi portare appresso la donna ma fa buon viso a cattivo gioco. Si riparte. Niente paura, ce n’est qu‘un début. Schoendoerffer, anche sceneggiatore, ha preso spunto dal cosiddetto “go fast”. Una pratica diffusa nelle banlieue parigine tra gli spacciatori magrebini che si organizzano in convogli per trasportare dall’estremo sud della Spagna il carico di droga che arriva loro dal Marocco. In dodici ore. Siccome guardia civil e gendarmerie non dormono, ma hanno capito il gioco, l’abilità sta nel fregarli trovando strade alternative oppure semplicemente correndo di più. In Le convoi, però, uno dei sette truands automobilisti ha “venduto” il carico a un’altra organizzazione, quindi la faccenda si complica. Che idea di cinema c’è dietro? Per fortuna il regista evita il modello Fast & Furious e tenta un’operazione più curiosa, chissà se ispirata a Locke di Steven Knight, vale a dire la somma di “scene di dialogo rivelatore nell’abitacolo”, con la tensione che soprattutto nella prima parte è costruita sulle reazioni di guidatori e passeggeri, macchina da presa incollata più alle facce che alla strada.
Si dirà che in Locke il passeggero è unico ma non è del tutto vero: il bluetooth moltiplica le voci e sul sedile posteriere c’è pur sempre il fantasma del padre… Qui di fantasmi non ce ne sono, ma l’autostrada tra Spagna e Francia pullula di gangster e gendarmi sempre più incazzati. Doppio finale. Sparatoria di massa in autogrill (ambizione alta, regia nervosa e rigorosa: vorrei dire alla Michael Mann, si parva licet; del resto Schoendoerffer aveva già tentato una cosa simile in Truands). Cerchio che si stringe intorno a Magimel e alla ragazza sequestrata: la loro vicinanza finale è talmente implausibile da avere una sua poeticità. Dopo il passo falso di Switch nel 2011 (ma la storia era del pessimo Jean-Christophe Grangé) e un altro film nel 2014, 96 heures, che ancora non ho visto (rimedio di certo, il protagonista è Gérard Lanvin, garanzia di qualità noir) Schoendoerffer ritrova con Le convoi il ruolo di sovrano del polar contemporaneo. Una curiosità: il vero cattivo del film, quel rozzo tagliagole che entra in scena nel cesso dell’autogril, è Alain Figlarz, vecchia conoscenza di chi bazzica i bassifondi del cinema francese (o ha semplicemente visto la serie tv Braquo). È anche il responsabile coordinatore degli stunt. Bravò!