Cinema nostalgia, tra coscienza femminile e riflessione sullo statuto terminale delle immagini: Sguardi Altrove 31 propone in Concorso Hommage (Omaju) della regista sudcoreana Shin Su-won, piccola storia dal grande cuore, tutto un gioco di riflessioni (in parte autobiografiche) sul rapporto vitale con l’atto di fare cinema e sui margini concessi dal sistema all’espressione personale, soprattutto quando a esprimersi sono le donne. La protagonista è Ji-wan, una regista indipendente di mezza età (Lee Jung-eun, era la governante in Parasite) alle prese con l’ennesimo insuccesso del suo ultimo film. Il pubblico sembra cercare un cinema diverso da quello che lei e la sua produttrice intendono fare, il marito è stanco di avere una moglie sognatrice che non porta reddito a casa e, mentre in sala il suo terzo film va tanto male che potrebbe essere l’ultimo, un festival la incarica di restaurare quello che negli Anni ’60 fu il terzo e ultimo film di una delle poche registe attive nel cinema sudcoreano.
Il compito non è facile, perché del film, che si credeva perso, è stata ritrovata solo una copia con la colonna audio danneggiata e, per giunta, con numerose scene mancanti. Un po’ scoraggiata e un po’ caparbia, Ji-wan inizia dunque un percorso all’indietro alla scoperta della storia personale e artistica di questa donna ormai morta, cercando i suoi collaboratori e mettendosi sulle tracce sia della sceneggiatura originale che di una copia integra del film.
Su questa linea narrativa Shin Su-won costruisce una piccola parabola dedicata al rapporto tra le aspirazioni personali e l’ispirazione artistica e sul loro arduo destino in una società governata da dinamiche che mirano sempre più a escludere chi coltiva un sogno intimo invece della competizione sociale. Naturalmente in Hommage è centrale il discorso sullo spazio esiguo riservato storicamente dall’industria cinematografica alle donne in Corea del Sud come in tutto il mondo e se il personaggio della regista sulle cui tracce la protagonista si mette è immaginario, vera è la figura (citata in una scena) di Park Nam-ok, che è considerata la prima regista sudcoreana, autrice di un solo film (The Widow, Mimang-in 1955) che girò portando con grandi difficoltà e tanta determinazione, tenendo in spalla il figlio di pochi mesi.
Il tono nostalgico che dialoga con la fine dell’era del cinematografo come grande arte popolare serve a costruire il contesto in cui Hommage si colloca, ma poi il film ha una sua linea lirica piccola ma sincera, che si spinge in una rappresentazione vagamente fantasmatica della realtà. Il gioco (in sé ingenuo) dell’ombra della regista morta che segue sui muri la protagonista crea un doppiofondo irreale, che scontorna l’approccio realistico della messa in scena come in un film di Woody Allen. E soprattutto Shin Su-won sospinge il tema del cinema del passato nel discorso sul trascorrere del tempo e sull’età anziana, che resiste nel valore di una memoria alla quale si tende a dare sempre minor valore. Fragile ma sensibile, Hommage è un lavoro che conquista lo spettatore con la semplicità della sincerità.