«Batistuta? Un animale, un animale che grazie a Dio è argentino!».
Diego Armando Maradona
«Batistuta, er portiere se rifiuta de mette’ la mano su ‘sto colpo de bazooka…» rappava Brusco nel pezzo Ancora e ancora. Gabriel “Batigol” Batistuta è stato uno dei migliori calciatori degli anni Novanta/Duemila, forse è meglio dire di tutti i tempi. Attaccante della nazionale argentina, di Fiorentina e Roma… Tecnica elegante e raffinata, tocco di piede, di testa, di tacco, gioco con e senza palla da far strabuzzare gli occhi dei tifosi. In due parole: un immarcabile. Eppure, a parte i sostenitori delle squadre per cui ha giocato, forse non viene mai ricordato abbastanza. Perfino nel recente e bellissimo documentario Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli Gabriel viene citato e visto in azione quasi solo en passant. A porre rimedio alla memoria fragile di troppe cronache sportive pensa ora il documentario El número nueve di Pablo Benedetti, presentato in anteprima nella sezione Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma, e visibile su Prime Video, Chili e Sky on demand. È il ritratto intimo, malinconico e sentito di un grande campione sportivo senza tempo, che ha dato tutto se stesso sul campo, fino a danneggiare per sempre il proprio corpo, le proprie gambe, la salute. «Le caviglie oggi sembrano quelle di un ottantenne» sostiene uno dei suoi medici.
Il dolore estremo e ormai insopportabile lo ha portato perfino a valutare l’amputazione delle gambe (il suo medico argentino racconta che una volta Gabriel ha urinato nel letto, perché non riusciva ad alzarsi per la sofferenza). Infine, la decisione difficile di mettere delle protesi alle caviglie. «Noi argentini siamo nati con la parola sacrificio addosso» osserva Javier Zanetti, compagno di “Bati” nella nazionale argentina e nell’Inter, anche se per poco tempo, durante la sua ultima tappa italiana. «Noi argentini siamo abituati a vivere moltissime situazioni complesse, moltissime difficoltà… e a superarle», chiosa con affetto il grande “capitano”. Gli fa eco Giancarlo Antognoni, altra bandiera della Fiorentina: «Non l’ho mai visto saltare un solo allenamento». Sacrificio, abnegazione, cuore. Doti mai mancate, oltre alla classe straordinaria, al “número nueve” protagonista del film. Dopo ogni caduta e ogni infortunio, ha sempre saputo stringere i denti e rialzarsi. Il film di Benedetti alterna incontri, interviste e dialoghi con ex compagni, amici, collaboratori, a frammenti di “Bati” che oggi ritorna con la moglie nelle città in cui – per più o meno tempo – è stato re indiscusso dello stadio. Firenze e Roma. E ancora, mostra un viaggio in patria, nella “sua” Reconquista, Santa Fe, Argentina: «Qui sono uno dei tanti. Posso muovermi normalmente, non come in Italia. Vado al supermercato o in giro…». Mescola dialoghi con medici e infermieri sul suo stato di salute ed episodi di vita familiare (a cavallo con la moglie con cui gioca a Polo; con i figli, dai quali viene battuto a un videogioco di calcio). E poi magnifici montaggi di gol clamorosi e cadute: quel maledetto 7 febbraio del ’99 contro il Milan, che segnò l’inizio di fine-rapporto con la Fiorentina. Una girandola di gol, azioni e imprese dell’epoca in cui Bati aveva la chioma di un Sansone e una potenza nei piedi e nella testa da insaccar reti su reti (354 in carriera). Scatti palla al piede e magie d’arte balistica varia. L’esultazione controversa con le mani “a mitra” verso gli spalti. Osserva il campione, indicando la piazza degli immigrati friulani di Avellaneda, Santa Fe: «Qui ho segnato uno dei miei gol più belli… giocando con mio zio, quando avevo sette o otto anni… Un gol al volo, incredibile… È il gol che ricordo di più della mia vita! Sento ancora la palla sul piede. Me lo ricordo meglio di quello di Wembley (contro l’Arsenal in Champions League, nda)!». Pare quasi di sentire il boato di una folla che non c’era ancora. Il predestinato del gol era, è, sarà sempre un numero 9 che nel magnifico sport del pallone è sinonimo di numero 1.
Grazie di tutto, Gabriel Omar Batistuta.