Irrefrenabile rovina: Adam Sandler e i Diamanti grezzi dei fratelli Safdie

Il cinema dei fratelli Josh e Benny Safdie sembra mosso da una dispendiosa voracità sacrificale, è come se i loro personaggi tendessero a bruciare le tappe della dannazione, della nemesi, della catarsi in cui si crogiolano. Prima Heaven Knows What, poi Good Times ora Uncut Gems: l’approccio dei Safdie è programmaticamente chino sulla pulsionalità del rapporto che il loro filmare instaura con i personaggi di cui si occupano. I loro eroi sono semplici impiegati dell’umana tragedia, che la quotidianità si incarica di declassare a figure drammatiche inclini a esser vittime della propria personalità, materia grezza sotto pressione, come i diamanti di Uncut Gems, il loro nuovo film, progetto coltivato per un decennio e infine approdato sullo schermo virtuale di Netflix. Destinazione che non gli sta certo impedendo di assurgere a oggetto di motivata attenzione sulle principali testate specializzate internazionali (dai Cahiers du Cinéma a Sight & Sound).

 

 

Adam Sandler è la presenza assolutamente sorprendente di Diamanti grezzi, il suo Howard Ratner è un meccanismo a orologeria che ticchetta con regolarità la sua nevrotica dannazione: puro animale da sottobosco newyorchese, si trascina attorno a Times Square con la sua aria sdrucita e l’energia di un rampante sfigato, che guarda perennemente in faccia la sua sfortuna. È un ebreo che commercia in pietre preziose nel celebre quartiere dei diamanti di Manhattan, un unto del signore del denaro e dell’azzardo, che lo fa stare in bilico tra creditori poco raccomandabili, una moglie che proprio non lo sopporta più, un’amante che invece lo supporta ancora e sempre, le puntate spericolare che lo attirano con istinto irrefrenabile, i nemici che lo inseguono come mosche instancabili. Il deus ex machina della sua vita è – meglio: potrebbe essere – una pietra che si è fatto inviare dall’Africa, un prezioso pezzo di roccia sottratto in una miniera, che porta incastonate in sé delle gemme purissime. Una casa d’aste aspetta quelle pietre, il ricavato sarebbe indispensabile a Howard per mettersi in pari con i creditori, ma Kevin Garnett (sì, proprio lui in la persona: l’ex cestista NBA…) s’invaghisce di quelle pietre e gliele chiede in prestito per convogliare la loro energia nelle importanti partite che sta per giocare. E Howard cosa fa? Gliele lascia! Dannatamente disponibile alla rovina che fatalmente incombe su di lui, programmando il resto del suo destino nell’inesausta corsa contro il tempo in esaurimento: creditori, moglie, sfortuna, casa d’aste, puntate d’azzardo…

 

 

Il film è lo specchio perfetto di questa disposizione estrema del personaggio, lo studio a cielo aperto di un carattere che è l’incarnazione di un ritmo esistenziale metropolitano: Howard Ratner è quasi un uomo della folla che sfugge alla sua trasparenza e si spinge nel delirio di un rapporto dispendioso con i luoghi che attraversa, le persone che incrocia, le azioni che compie con irrefrenabile rovina. Il dialogo tra determinismo e libero arbitrio che funge da inascoltato burattinaio nella composizione scenica di Howard non è che la trascrizione drammaturgica della sua innata dannazione, ciò che ce lo rende tanto empatico quanto respingente. Il gioco che Adam Sandler (presenza magistrale e assoluta del film) instaura con il suo personaggio è puramente funzionale tanto alla capacità magnetica che mostra nei confronti di chi gli sta attorno, quanto alla sua rabbiosa e inutile rinuncia di quella condizione. Ciò che resta del metodo dei Safdie è soprattutto l’implosione documentativa dei luoghi che attraversano, la pulsionalità del loro rapporto con le strade e le figure che esprimono: c’è una verità resistente nelle loro storie, più tenace dei plot quasi pretestuali che imbastiscono, più autentica delle drammaturgie cui si affidano, più antica dei destini che ritraggono. Una funzionalità oppositiva che scaturisce dalla continuità quasi empatica tra gli opposti approcci esistenziali. Il tutto sembra quasi teorizzato, del resto, in Goldman v Silverman, il cortometraggio girato dai Safdie durante le riprese di Uncut Gems, in cui Adam Sandler e Benny Safdie sono due artisti di strada che entrano in collisione sulla linea di una similarità che è opposizione: uno dorato l’altro argentato, si contendono le attenzioni dei passanti di Times Square, lasciando implodere la loro spiccia umanità nella magmatica indifferenziazione della folla.