La comunicazione interrotta e le irresolute solitudini in Comedians, di Gabriele Salvatores

Il tempo passa e si vede. Nel 1987 Salvatores con un fidato gruppo di amici – tutti provenienti da esperienze più o meno off di palcoscenico cabarettistico e con un (merita un ricordo) sempre piacevole Nanni Svampa – aveva girato Kamikazen, ultima notte a Milano. Quel film, come questo Comedians, era tratto da una pièce teatrale di Trevor Griffiths sul quale, in entrambe le occasioni, il regista, insieme a Enzo Monteleone in quel film e da solo in questo, ha lavorato adattandola all’età e al cast che nelle due occasioni ha scelto, restando la selezione degli attori per lui centrale, assertore com’è dell’affermazione di Truffaut quando hai un buon cast hai l’80% del film. I due adattamenti, profondamente differenti, testimoniano l’approccio del regista più che all’età anagrafica ai tempi che si vivono. Tanto piegato su un versante quasi puramente goliardico era quello, tanto pensoso, dubbioso e quasi irrisolto, è questo che arriva in tempi in cui, a ben pensarci, è quasi difficile ridere. Comedians, a differenza di Kamikazen, sceglie i tempi, la struttura e il rispetto di una unità di luogo che è propria del teatro. Tanto che Comedians diventa un film ripiegato su stesso, in una specie di rito di autoassoluzione per una comicità ragionata, in favore di una più spontanea, ma anche più scorretta comicità che abbia il fine di accontentare il pubblico. Nel lungo confronto tra gli aspiranti attori comici, in attesa di esibirsi davanti ad un incaricato del mondo televisivo a caccia di nuovi talenti, Salvatores nella sua irriconoscibile Milano, utilizza i toni cupi di una serata di pioggia, che viene giù a dirotto, i toni cromatici smorzati e spenti di un inverno che avvolge non solo la scena, ma soprattutto le vite di questi personaggi. Comedians è un testo che riflette sull’attore, sulla sua natura, sul rapporto con il pubblico, che prova a scavare le relazioni che corrono tra l’etica comune, quello che si direbbe il politicamente corretto e la necessità di far ridere, smorzando ogni critica di scorrettezza sul nascere.

 

 

Il film di Salvatores ha l’aria di un resoconto, ha il senso di una linea di confine tracciata tra epoche e soprattutto tra ciò che esisteva e ciò che esiste. In questo scenario la collocazione dello spettacolo è nell’insistente domandarsi ciò che il pubblico effettivamente voglia. Non può essere un caso tornare su questo testo, già suo esordio dietro la macchina da presa. Chi ha visto quel film, o lo vedrà dopo avere visto questo, non solo potrà valutare le differenze che corrono in termini di gestione della storia, ma anche l’abissale differenza delle anime dei due film. È per questo che il tempo che passa si vede e al lavoro en plein air del primo risponde questo film chiuso dentro un’autoanalisi che non approda ad una soluzione, tanto da diventare quasi un pregio, ma si risolve in un rinvio e nell’apertura di ferite, che invece Kamikazen sembrava sanare. Comedians è un film della maturità, una generale riflessione sul mondo dello spettacolo in rapporto alle nevrosi personali dei suoi protagonisti, tanto che lo “spogliatoio” costituito dall’aula scolastica dove il cast di comici trova sede prima dello spettacolo cruciale per le loro vite, non solo artistiche, si rivela anche una specie di ring dove si susseguono le invidie e gli insulti, le accuse e le cattiverie. Salvatores tesse la sua trama dentro la quale fa muovere questi artisti ancora inesperti e prova a restituire allo spettatore quella lettura etica di uno spettacolo, che funziona attraverso le consumate regole che si adattano a ciò che lo spettatore pretende di avere e pertanto lontane da ogni filosofia.

 


 

Spetterà al consumato Christian De Sica, cinico e spietato funzionario del ricco mondo televisivo, lavorare da tagliatore di teste, spegnere ogni entusiasmo e ogni piaggeria degli aspiranti personaggi televisivi, applicando la legge dura dello spettacolo in funzione dei desideri dello spettatore Voi cercate di essere profondi. Non sto cercando dei filosofi! La vita là fuori è difficile, abbiamo bisogno di farci qualche bella risata. Detta da De Sica, re incontrastato dei cinepanettoni, la frase assume un suono di un cinismo acido, che non solo sembra decretare la fine di un’epoca con una restaurazione di un antico e mai così lontano passato, ma soprattutto conferma quell’approccio pessimista, in piena sintonia con i tempi che viviamo, tanto da diventare davvero l’ultima notte non solo a Milano, ma di un’intera epoca. Un pessimismo che appartiene anche alla natura dei comici coinvolti nell’operazione, a cominciare da Natalino Balasso, che qui svolge il ruolo dell’insegnante/coach. Balasso già autore di comicità satirica televisiva, da qualche tempo non crede più all’efficacia di questa pratica ed è molto critico sulla comicità di oggi, tanto da vivere un po’ appartato il suo ruolo di attore su un proprio canale di You tube. Così come Ale e Franz, interpreti di una surreale e quanto mai inattuale comicità, che prende a sfondo un certo smarrimento esistenziale nel gioco di parole che fa da struttura essenziale delle loro esibizioni. Giulio Pranno, già interprete per il regista in Tutto il mio folle amore, qui alle prese con il personaggio più border line, nel rispetto non solo delle sue caratteristiche d’attore, ma anche di quel necessario antagonismo che l’attore sa esprimere con il suo personaggio di clown bianco che sa, con la seriosità della sua maschera, costruire pensieri e aprire contraddizioni. Salvatores si avvale dunque di un cast di spessore, arricchito dalle presenze di Marco Bonadei, Aram Kian, Walter Leonardi, Riccardo Maranzana, Demetra Bellina, Vincenzo Zampache.

 

 

Se questi sono i presupposti sui quali il film lavora con una evidente volontà di attualizzazione e di riflessione sul presente, resta il problema che Comedians non sempre sa diventare oggetto di scambio con la platea, laddove i temi non sanno mai diventare argomenti dialettici, forse perché espressi in una lingua speciale, forse perché commisurati ad un’esperienza sospesa tra riflessioni intime e vita pubblica di uomo di “spettacolo”. Chiuso come un riccio il film sembra non trovare la strada per esprimere quanto vorrebbe, restando trattenuta ogni sua efficacia comunicativa, restando univoche e senza approdo le enunciazioni. Tra il film e lo spettatore non si apre mai quella comunicazione necessaria tra quel palcoscenico nella notte fredda e piovosa e il cuore e la mente di chi guarda. Va dato atto a Salvatores di avere fatto un tentativo assolutamente originale di riflessione e di sapere utilizzare in chiave differente un testo che, evidentemente, è un punto di riferimento preciso nella sua carriera artistica, di avere lavorato su un tema estraneo ad ogni moda e di avere fatto un tentativo lodevole con un film prettamente teorico sul tema dello spettacolo nel suo rapporto tra necessità etica ed efficacia diretta che esclude ogni correttezza politica. Ma al tempo stesso non si può non ragionare sul fatto che la scrittura dei dialoghi che funziona, in quel contesto da spiazzamento per lo spettatore, alla fine appesantisce la visione, abbassando ogni tensione iniziale scandita dal tempo che resta per l’esibizione, quasi si trattasse di un thriller. Comedians resta un film necessario per una seria riflessione sul tema, ma rivela anche il disagio di una comunicazione interrotta, segno di irresolute solitudini.