Shiva Baby di Emma Seligman: su MUBI il disagio sociale di una giovane donna tra comicità e tinte horror

Possiamo essere sicuri che Emma Seligman sarà una di quelle registe di cui sentiremo parlare molto in futuro: Shiva Baby, il suo folgorante esordio nel lungometraggio (sviluppato a partire dall’omonimo cortometraggio presentato come tesi di laurea alla Tisch School of Arts di New York nel 2018) è già acclamato dalla critica internazionale e rappresenta in modo esemplare lo sguardo di una generazione, quella a cui appartiene la stessa Seligman (classe 1995), in balia di un senso di spaesamento, tra la consapevolezza di sé e delle proprie battaglie da una parte e la totale insicurezza dall’altra. Il film mette in scena la giornata da incubo di Danielle, studentessa e mezza artista che sta per completare il suo percorso in studi di genere ma che tutti in famiglia vorrebbero laureata in giurisprudenza o economia e impegnata in una carriera da imprenditrice. Alla shiva di un lontano parente (la cerimonia di commemorazione funebre tipica della comunità ebraica), a cui partecipa controvoglia, deve affrontare l’imbarazzo delle frasi fatte, lo sguardo e la curiosità inquisitoria dei parenti che la sommergono di domande sulle sue future intenzioni professionali e la presenza imbarazzante dei genitori in un clima di disagio crescente.

 

 

Le cose si complicano quando Danielle si trova inaspettatamente faccia a faccia prima con la sua ex dei tempi del liceo, Maya, per la quale prova ancora interesse, poi con il suo attuale sugar daddy, Max, incontrato il giorno stesso per un appuntamento sessuale a pagamento (mostrato in parte dalla scena iniziale, l’unica al di fuori della casa dove si svolge l’intera vicenda). Ovviamente nessuno lo deve sapere e così allo stress causato dall’occasione sociale si aggiunge anche l’ansia di dover nascondere la sua identità fluida e la sua relazione immorale con un uomo non solo più grande, ma anche sposato e con una figlia (anche se questo Danielle lo scoprirà solo dopo). Se l’idea alla base di Shiva Baby non è di certo nuova, ciò che colpisce in questo esordio è proprio l’abilità di Seligman nell’orchestrare azioni e personaggi nei suoi circa settantasette minuti di durata: la narrazione è incalzante, la tensione procede per accumulazione, i dialoghi sono serrati e conditi con la tipica ironia ebraica e la gestione degli attori sapiente e brillante, anche per quanto riguarda le scelte di cast. Fra tutte spicca quella della protagonista, interpretata da Rachel Sennott, stessa attrice del cortometraggio e qui perfettamente in parte, come anche i personaggi secondari dei genitori, i navigati Polly Draper e Fred Melamed, e Molly Gordon, deliziosa nella parte dell’ex ragazza equilibrata e sicura. Tutto questo rende Shiva Baby una commedia degli equivoci dai contrasti stridenti quanto la sua colonna sonora, curata dalla compositrice Ariel Max, fatta di archi pizzicati in maniera isterica e suoni metallici tipici da film horror, che alimentano, insieme a una macchina da presa incollata al suo volto, la sensazione di disagio e malessere esistenziale provati dalla giovane protagonista. E per certi versi Shiva Baby lo è, un horror, perché anche se mascherato da commedia (ma potrebbe valere anche il contrario) quello di Danielle è davvero un giorno di terrore; ma è anche un grido generazionale, il ritratto di una gioventù che naviga a vista, incagliata tra aspettative proprie e altrui e raccontato in particolare attraverso uno sguardo femminile, altra caratteristica non secondaria che rende il film di Emma Seligman estremamente attuale e interessante soprattutto in un’ottica gender. È forse solo alla fine che la tensione si stempera, nel furgone-carovana del padre in cui si ritrovano ammassati tutti gli incubi della giornata di Danielle: lì c’è anche spazio per un po’ di sollievo, un attimo di decompressione forse anche provvisorio, ma che lascia comunque un briciolo di speranza e la consapevolezza che, in fondo, tutto passa, e anche una brutta giornata può aprire lo sguardo a nuove prospettive.