Su Netflix Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó . Dai frantumi di un quadro, la ricomposizione di un ritratto di donna

Settembre, ottobre, dicembre, marzo… Autunno, inverno, primavera. Ma in Pieces of a Woman, questo calendario, i mesi, le stagioni, l’immagine ritornante di Boston (il film è stato in realtà girato a Montreal) e di ponti reali o simbolici, caduti, da costruire, da osservare e immaginare, non sono soltanto la scansione del tempo del dolore, la sua storia, la sua cadenza, bensì la costruzione di uno spazio, di confinamenti forse, di un preciso modello formale-morale di narrazione che procede per associazioni, per simmetrie esplicite, per visualizzazioni della perdita, del lutto, di quello che resta, di ciò che rimarrà definitivamente irrisolto. Sono un tempo che ne ridefinisce un altro, quasi a gerarchizzare la molteplicità emotiva delle figure, un tempo che misura i personaggi e i loro gradi di relazione e separazione. L’ungherese Kornél Mundruczó, classe 1975, autore inetichettabile e non particolarmente votato né al realismo né alla gestione controllata di oggetti e aggetti narrativi  (si pensi soltanto alla parabola fantastica dei cani bastardi di White God – Sinfonia per Hagen o  del levitante profugo di Una luna chiamata Europa), qui, invece, alla sua prima opera in lingua inglese, parte da un episodio autobiografico e lo blinda però in un  principio organizzativo quasi paradigmatico, in un film radicalmente perimetrato. Scrive Mundruczó nelle note di regia: «Mia moglie (Kata Wéber, sceneggiatrice del film e sua ex compagna, ndr) ed io volevamo condividere con il pubblico una delle nostre esperienze più personali attraverso la storia di un figlio non nato, nella convinzione che l’arte possa essere la migliore cura per il dolore.  Saremo gli stessi di prima dopo una tragedia?».

 

 

Martha (Vanessa Kirby, Coppa Volpi  per la migliore interpretazione femminile a Venezia 2020) e Sean (Shia LaBeouf), lei di provenienza alto-borghese, lui operaio edile, aspettano una bambina, sono felici. Un sera la donna inizia ad avere forti dolori e le si rompono le acque. I due hanno stabilito da tempo che la piccola dovrà nascere in casa: contattano la loro ostetrica di fiducia ma sarà un’altra ad arrivare, Eva (Molly Parker). Le cose si rivelano più difficili del previsto e subentra la paura,  ma la bambina nasce. Martha può tenerla tra le braccia, sollievo e gioia durano però pochissimo. Eva capisce infatti che la bambina ha difficoltà respiratorie, prova a tenerla in vita ma è troppo tardi. È un interminabile  piano-sequenza, è l’inizio del baratro per la coppia; l’ostetrica rischierà il carcere. Sono i fili che si intrecciano nell’andamento futuro del film, quelli del suo sentimento espanso, da Martha e Sean alla famiglia di lei (la madre –  Ellen Burstyn  –, la sorella –  Iliza Shlesinger –, il cognato – Benny Safdie –). Un sentimento espanso e dunque attaccabile, fragile, permeabile a ogni squarcio. E che in Pieces of a Woman assume un’evidenza molto intensa, molto forte, nella generosità performativa degli interpreti, i cui personaggi sono plasmati in un movimento, in un dinamismo  quasi inaspettato, quasi inspiegabile, misterioso, tanto alle estremità quanto negli spazi vuoti del racconto, in un incastro drammaturgico e di messa in scena dove  l’apparente rimozione è in verità memoria continua, dove non è l’assenza a generare fantasmi ma la paura (il personaggio interpretato da Molly Parker, in questo senso, è un finto non protagonista, è – insieme al suo incerto destino – l’immagine realmente mancante per gran parte del film). Martha è l’essenza, l’elemento plastico e sensoriale (la mela, le ceneri, l’acqua…),  racchiude da sola tanto la trasparenza quanto la laica spiritualità dell’opera. Resta sempre il personaggio più libero, in fondo anche quando è imprigionata nelle sue gabbie interiori, mentre forse non sapremo mai se l’annichilimento progressivo di Sean, il suo smottamento, la sua metamorfosi involutiva, sia un processo autoindotto o piuttosto eterodiretto da una scrittura e da uno sguardo che da morali rischiano invece, nel suo caso, di assolutizzarne e irrigidirne la figura in una debolezza, e in una quasi dipendenza da questa, tragica e insieme irredimibile.  Alla fine, allora, non si può che tornare a quei pieces of a woman, ai pezzi di un’esistenza, di una vita, di una donna, che trovano finalmente un’altra immagine, un’altra storia, altri pezzi…