Gamma rei – L’Immortale Hulk di Al Ewing, tra esoterismo e body horror

Bruce Banner è morto, fulminato da una freccia scoccata da Occhio di Falco, suo compagni d’armi negli Avengers. Ma Bruce Banner è anche Hulk. E Hulk non può morire. Cambia, semmai. Muta in maniera imprevedibile, assecondando la psiche frammentata della sua controparte umana. E, come sempre, la coppia si ritrova a vagare per l’America profonda, un non luogo fatto di autobus e tavole calde, seguendo una traccia di radiazioni gamma che Hulk, da esse generato, è in grado di percepire. In rotta di collisione con il Golia Verde stanno arrivando, oltre agli Avengers, un’agenzia governativa segreta e creature mistiche da un’altra dimensione.  Al Ewing sceneggiatore di punta in casa Marvel, ha deciso di andare all in con la sua L’Immortale Hulk, la serie che rilegge il mito di una delle icone del fumetto americano scuotendolo profondamente a partire dalle basi. Gli elementi caratteristici dell’estetica di Hulk ci sono tutti. Bruce Banner che fa vita da nomade, perennemente braccato e nel vano tentativo di nascondere al mondo l’ingombrante creatura in cui si trasforma quando la rabbia prende il sopravvento oppure quando la sua vita è in pericolo. Perché in fondo Hulk è questo, l’incarnazione del bisogno di protezione di un bambino, Banner, vittima di un padre violento da cui non si poteva difendere. E questo è uno dei capisaldi su cui Ewing delinea il rapporto fra Bruce e il Golia Verde: Hulk esiste per proteggere Banner. Ci sarà sempre, e non permetterà a nessuno di fargli del male. Non importa sotto quale forma, o con quale personalità, il mostro è legato all’uomo da un rapporto di simbiosi inscindibile, che lo porta a manifestarsi personalità e sembianze fisiche differenti, tante quante sono le sfaccettature della sua mente a pezzi.

 

 

Intorno all’indagine sugli equilibri tra uomo e mostro, la trama esplode in una miriade di personaggi, situazioni e generi. A farla da padrone è il body horror à la Cronenberg. Hulk viene fatto a pezzi, fisicamente e psichicamente. Cambia spesso aspetto fisico, è malleabile nelle sue numerose mutazioni. Così come cambiano e si integrano fra loro le situazioni di un pastiche caleidoscopico che va dalla spy story al racconto dell’orrore più scopertamente soprannaturale. La cifra è il cambiamento. In una critica all’utilizzo facile della morte come espediente per far cassa da parte degli editori di fumetti americani, Hulk non muore mai ma tutto muta intorno a lui. Dall’ambiente circostante, solitamente ridotto i macerie, ai comprimari, che al pari del protagonista sono soggetti a mutazioni continue, disturbanti, uno strazio per il corpo e per la mente da cui nessuno sembra mai del tutto immune. Questo, ancora una volta, è Hulk, una furia che lascia il segno stravolgendo profondamente le vite di chi gli sta intorno. Cambiamenti e stravolgimenti che Al Ewing gestisce con maestria. Tutto torna, tutto a senso e non va mai a contraddire un universo narrativo sempre coerente con il proprio presente e il proprio passato. Nessun reboot, precisa l’autore, ma la volontà di aggiungere il tassello al mito e di proiettarlo nel futuro, testandone i limiti e spostandoli un po’ più in là. Il risultato è ricco e generoso, una lettura densa di personaggi e situazioni di una grande varietà , una moltitudine straripante di elementi che l’autore coordina senza mai perdere il controllo, collocando ogni tassello al posto giusto nella big picture. L’Immortale Hulk è una serie a fumetti brillante, che testimonia il fatto che, se non a livello commerciale quantomeno a livello qualitativo, il medium è più vivo che mai e che non esistono solo le graphic novel, tanto nobilitate ma fra cui si trovano anche tanti volumi inutili e stereotipati, ma c’è del fermento molto interessante anche fra i prodotti di puro intrattenimento.