Suburra e il canone Cattleya

Suburra è la prima serie italiana direttamente prodotta da Netflix. Dieci episodi che saranno nel 2018 riproposti anche su Raidue, secondo un’Ansa del settembre scorso «con qualche opportuno taglio nelle scene più forti». Opportuno per chi non si capisce bene, in verità la serie è meno violenta di Gomorra o Romanzo criminale (specie le prime stagioni di entrambe, le migliori), ma qui, va detto, la prima vittima del complicato intreccio criminale è un alto prelato che va a puttane e poi si autopunisce col cilicio nel buio della sua stanza in Vaticano. Taglieranno le sue scene? Chissà. Non siamo così ingenui da ritenere Netflix una semplice piattaforma che rilancia (o meglio: vende) film pensati da altri, anche quando li produce. Esiste una sua marca estetica e narrativa, di cui è componente importante la predilezione per le storie criminali, ormai tipica, e sulla quale occorrerà prima o poi fare dei ragionamenti. Suburra però c’entra fino a un certo punto con il canone di Netflix, la sua “famiglia” d’appartenenza è Cattleya, la società fondata da Riccardo Tozzi e da poche settimane diventata britannica, con l’ingresso di ITV Studios al 51%. Cattleya ha realizzato le tre serie tv noir italiane più internazionali dai tempi del commissario Cattani (La piovra), ovvero Romanzo criminale, Gomorra e adesso Suburra, ispirate la prima e la terza dallo stesso scrittore-magistrato Giancarlo De Cataldo, gestite la prima e la seconda dallo stesso showrunner-regista Stefano Sollima, scritte la seconda e la terza dagli stessi sceneggiatori (tra gli altri) Daniele Cesarano e Barbara Petronio. Di Cattleya è anche il film Suburra (2015) sceneggiato però da Rulli e Petraglia ma con la determinante regia di Sollima. La serie omonima ne è una specie di prequel, idealmente ambientato nei venti giorni di limbo amministrativo tra l’annuncio di dimissioni di Walter Veltroni da sindaco di Roma, per sfidare Berlusconi come segretario PD alle elezioni, e l’effettivo abbandono dello scranno. Il film si svolgeva invece nel 2011, alla vigilia della nomina di Mario Monti a presidente del Consiglio. Fotografie entrambe di un basso impero al crepuscolo, ma nella finzione della serie tv la dismissione del consiglio comunale, con le sue commissioni, pregiudica la conclusione di un affare miliardario, la conversione di edificabilità di terreni ceduti dalla Chiesa a prestanome della mafia in quel di Ostia. A gestire il malaffare il Samurai, non più Claudio Amendola ma Francesco Acquaroli, bravissimo, re della mala romana che non dorme mai. A manipolare i pretonzoli invece Claudia Gerini, della quale si intuisce una clamorosa riscossa nell’immancabile seconda stagione. Al centro della scena, però, tre ragazzi diversamente giovani: Spadino (Giacomo Ferrara), rampollo del clan sinti degli Anacleti, omosessuale di nascosto, Aureliano Adami (Alessandro Borghi) bellicoso figlio del boss di Ostia e la new entry Eduardo Valdarnini, figlio di un poliziotto e toy boy del personaggio interpretato da Gerini. Proprio il peccaminoso monsignore del cilicio favorisce la strana alleanza tra i tre giovani, che finiscono per sfidare tutti, anche il Samurai.

Suburra – La serie è televisione, non cinema, non ci sono sequenze come quella del supermercato nel film di Sollima, decine di inquadrature montate in modo magistrale per una sparatoria con almeno quattro punti di vista diversi. E non si tratta semplicemente del virtuosismo di un regista, non è quello a fare la differenza, ma la struttura. La serie è sviluppata in modo orizzontale per incontri, incastri tra i vari personaggi, il primo che parla con il secondo che tradisce il terzo che si chiarisce con il quarto che minaccia il primo che cerca di fregare il secondo… Tutto così, di puntata in puntata, secondo un procedimento di sostanziale normalizzazione “letteraria” del crime: a parte i colori saturi cari alle produzioni Cattleya (e Netflix), in verità la messa in scena è quasi stile Rai o Mediaset, piuttosto neutra (i registi sono “nomi” – Michele Placido, Giuseppe Capotondi e Andrea Molaioli – ma francamente intercambiabili). Sono i dialoghi a essere adeguati al genere, e le facce: bravi attori con il fisico dei ruoli. Le prime serie noir di Cattleya rappresentarono l’eccezione, e l’eccezionalità, nel panorama standardizzato della fiction italiana. Suburra – La serie è di questo (un tempo nuovo) canone il prodotto medio. Nulla di male, ma nulla di più.