Torna a Bologna il cinema napoletano e questa volta ha il “cantante appresso”. L’attenzione dei film studies e degli approcci teorici verso l’apparato cinematografico è probabilmente all’origine di un interesse diffuso verso il rapporto tra cinema muto e canzone. Il cinema potremmo dire che nasce con la sala, ossia con la proiezione collettiva e non su dispositivi individuali, già a disposizione del pubblico prima dei fratelli Lumière. La sala però non era ancora un cinema, come noi siamo abituati a pensarlo. Ci vorrà qualche decennio prima che l’apparato della proiezione isolasse lo spettatore sulla sua sedia e lo immergesse corpo e mente in una buia caverna popolata di simulacri viventi con musica e suoni acusmatici. Prima di allora la sala era uno spazio pubblico meno definito, e la proiezione del film assumeva, non raramente, la dimensione di una performance di musicisti, cantanti e recitanti. Il film non viveva di solo pianoforte, c’erano attori, musicisti, orchestre piccole e grandi. Un’esperienza particolarmente significata è quella napoletana del “film con il cantante appresso”. Ad insistere su questa peculiarità fu uno dei massimi storici del cinema muto, scomparso dieci anni fa, Vittorio Martinelli. In apertura un’immagine tratta da Fantasia ‘è surdato.
Giustamente la Cineteca di Bologna ha dedicato a lui la sezione “Napoli canta” de Il Cinema Ritrovato. In un articolo sul quotidiano la Repubblica del 19 giugno 2005 era lui a segnalare il ritrovamento al Nederlands Film museum di Amsterdam di Un amore selvaggio, un film di 21 minuti che ha aperto la sezione, con protagonista Raffaele Viviani, un mito del teatro napoletano e a raccontare come non solo a Napoli, ma in tutto il Sud Italia, compreso le sue province, “aveva già, nella seconda decade del secolo, una consolidata tradizione. Sin dai primissimi del Novecento nei caffè concerto di Napoli si proiettano i film dei fratelli Lumière, case come la Lombardo o la Vesuvio film iniziano a produrre negli stessi anni delle etichette di Roma, Torino e Milano, e dal 1905 opera la prima filmmaker italiana, Elvira Notari (1875-1946), autrice di decine di «arrivederci», «augurali», lungometraggi e corti apprezzati anche in America. «Rispetto ai noiosi film ambientati in saloni e giardini pensili, con attori in smoking sin dalle undici del mattino – spiega Martinelli – quello prodotto al Sud è un cinema vivo, divertente. Ma queste pellicole con didascalie in dialetto, interpretate da guappi e scugnizzi, al di là del Garigliano erano quasi sempre snobbate». Erano invece estremamente apprezzati all’estero, dagli emigranti italiani nelle Americhe. Negli anni ’20 l’unica produzione italiana a non subire la crisi e conoscere la sua massima espansione fu proprio la Dora Film della Notari, donna produttrice e regista, oltre che abile montatrice su moviole verticali all’americana. Per lei lavoravano il marito, alla fotografia, e il figlio, Eduardo, come uno degli interpreti. Gli altri attori venivano preparati in una Scuola di recitazione da lei fondata. Una vera factory. I suoi film partivano, sulle navi per l’America, con il “cantante appresso”, e nascevano spesso su soggetti tratti dalle canzoni vincitrici della Festa di Piedigrotta.
Il rapporto con la canzone napoletana è strettissimo, i cartelli usano l’italiano per le descrizioni e il napoletano per i dialoghi. Jean Gili (ospite del Festival per un’altra sezione su Marcello Pagliero) nel suo saggio sul cinema italiano del fascismo ci racconta come la chiusura della Dora Film con decreto ministeriale fu l’unico caso di intervento censorio del regime, con il pretesto dell’uso del napoletano e in coincidenza con la nascita di Cinecittà. La Dora Film nel frattempo aveva prodotto oltre sessanta film, di cui sono rimasti quasi completi solo tre: È Piccerella, ‘A Santanotte, entrambi del 1922, e Fantasia ‘e surdato del 1927. Il Cinema Ritrovato, ce li ha riproposti insieme a Un amore selvaggio, con tre differenti accompagnamenti musicali e cantati, che ne reinventano la forma. Un esperimento che chi scrive, riprendendo le indicazioni di Vittorio Martinelli, aveva compiuto su Idillio Infranto, altro film prodotto al Sud, questa volta nella murgia barese, con voci e canzoni del musicista Nico Girasole, dentro la tessitura di una colonna sonora per orchestra. Recentissimo, del 2018, il lavoro dell’emittente ZDF/ARTE che per È Piccerella ha commissionato il sonoro ad Enrico Melozzi, fondatore del gruppo “100 violoncelli”. Il soggetto del film è tratto dall’omonima canzone di Libero Bovio, ma Melozzi non esita a intervenire sulle serenate con innesti di voce recitante, evitando il sincro labiale per dichiararne la natura performativa, oltre che con approcci di musica concreta (suoni spesso in sincro) dentro una texture elettronica. Il film è restaurato in 4K dalla Cineteca Nazionale. L’intervento della emittente franco tedesca è il segno di un rinnovato interesse in tutto il mondo per Elvira Notari. Le serate bolognesi riprendono infatti il programma a lei dedicato dalla Kinothek Asta Nielsen, in un recente convegno internazionale a Francoforte sul Meno. La magia però è venuta dalle due proiezioni nella Piazzetta Pasolini antistante la Cineteca. A stregare il pubblico questa volta non è stato solo la riproposizione di una proiezione con Lanterna al carbone. A riprodurre, ma anche reinventare, la performance originale di un film muto, questa volta c’era la canzone napoletana. Sul film con Viviani da anni lavora l’attrice, regista e musicista Antonella Monetti, in arte Dolores Melodia, un personaggio dello stesso Viviani. Il suo è il terzo lavoro sull’attore napoletano, che nel film lavora insieme alla sorella Luisella, interpretando insieme a lei due fratelli dal carattere sin troppo esuberante. Ad accompagnare Monetti c’era il violinista Michele Signore. Per il festival ha quindi accompagnato anche il film della Notari Fantasia ‘è surdato, ambientato a Roma e giunto a noi incompleto. Anche di questo la Cineteca Nazionale ha perso l’originale su pellicola infiammabile colorata a mano. Arte in cui la Dora Film era particolarmente abile, avendo Elvita Notari iniziato a lavorare nel cinema, proprio colorando i film di importazione. L’unica copia oggi disponibile è in bianco nero e fu realizzata nel 1968. Un incendio in Cineteca distrusse diverse pellicole anni fa. Salvata resta invece quella di ’A Santanotte, restaurata egregiamente dalla Cineteca Nazionale dieci anni fa, insieme al Laboratorio di Bologna L’Immagine Ritrovata, grazie al contributo finanziario dall’associazione femminista bolognese Orlando. A lasciare senza parole e ammutolito, come la pellicola, il pubblico è stato il gruppo musicale operaio E’ Zezi di Pomigliano d’Arco. Un’orchestrazione ricchissima e attentissima al film, di cui al termine ci hanno parlato loro stessi, entusiasti di aver potuto scoprire questo patrimonio immenso, oltre che di riscoprire, nelle sue vedute, un paesaggio che gli interventi industriali hanno devastato. Grazie a loro la serata è stata una vera festa ed Elvira Notari sarebbe stata di certo ripagata dal loro entusiasmo. Il film è forse quello più rappresentativo della sua produzione e nasce sulla canzone omonima di Eduardo Scala e Francesco Buongiovanni, alla base della sceneggiata. E’ Zezi hanno accompagnato anche Napoli sirena delle canzoni un montaggio di frammenti di pellicole originali non identificate della vastissima produzione della Dora Film che il figlio Eduardo donò a Vittorio Martinelli. L’altro frammento proiettato, di soli nove minuti, è stato L’Italia s’è desta del 1927, identificato dieci anni fa e ricavato da una copia, questa volta fedele alle colorazioni. Anche questa pellicola è il frutto di una donazione di Eduardo Notari, stavolta all’Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema, di cui Martinelli è stato uno dei principali protagonisti. Duole constatare l’assenza di registi e produttori italiani in questa Associazione di volontari. Si pensi alla figura invece di Martin Scorsese, uno dei principali artefici nel mondo del restauro e della ricerca, che ha salutato il festival dicendo “il cinema del futuro è il cinema ritrovato”. Speriamo che sia ascoltato anche da noi. Le giornate di Bologna, insieme a quelle di Pordenone, sono tra le più grandi manifestazioni nel mondo. Non ci sono scuse per dire che non si era sentito l’appello.
articolo citato
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/06/19/il-film-che-racconto-il-sud-ribelle.html