Su MioCinema la distaccata compostezza di The Waiter di Steve Krikris

Taciturno, solitario, abitudinario. Ogni mattina la sveglia suona e Renos (Aris Servetalis, visto recentemente in Apples) si prepara per il lavoro con meticolosa precisione: cuce un bottone, stira e inamida la camicia bianca, si rade, si pettina con cura, prende le scarpe lucidate dallo sgabello dove le ha lasciate la sera prima, percorre la stessa strada e arriva al lavoro dove si incerata le nocche per avere una presa più sicura sul vassoio. È cameriere, fiero di esserlo («Sono un cameriere. Lo sono da sempre» dice al collega che prova a insinuare dubbi sul loro mestiere), in una delle più antiche pasticcerie di Atene. Anche sul posto di lavoro la routine impera con la coppia di amanti che, seduta allo stesso tavolino, ordina sempre le stesse cose («Vodka con due cubetti di ghiaccio per la signora, vodka orange con molto succo per il signore»). Renos ha un hobby: disegnare le piante che coltiva nel suo appartamento. Parla poco, ma conosce i trucchi del mestiere e dispensa consigli sulle questioni fondamentali: come stirare i pantaloni con la piega, come togliere la gomma da masticare appiccicata dalla suola delle scarpe… L’unica persona con cui sembra relazionarsi è il collega cameriere che soffre pene d’amore. Anche Renos ha amato qualcuno in passato, ma la storia è finita («Non sono mai diventato l’uomo che desiderava», dice per chiudere la questione). Dalla laconicità delle sue frasi si evince che è un profondo conoscitore dell’animo umano, ma senza alcuna empatia verso gli altri. Un acuto osservatore che, appunto, si limita a osservare, senza intervenire. 

 

 

La sua routine viene sconvolta quando nel bidone della spazzatura davanti a casa trova il cadavere del suo dirimpettaio, Milan, con cui ha scambiato qualche chiacchiera alla lavanderia a gettoni o incontrandolo nel corridoio. Nessuno denuncia la scomparsa e il cadavere finisce nel camion della raccolta rifiuti, ma da quel momento Renos è inquieto. E lo diventa ancor di più quando incontra colui che ha occupato l’appartamento di Milan, un enigmatico e inquietante uomo senza nome (Yannis Stankoglou) che lo avvicina e gli fa conoscere la bella Tzina (Chiara Gensini). Inizia un ipotetico ménage à trois in cui la donna sembra essere succube dell’uomo violento e attratta, ricambiata, da Renos. Anche il mondo che circonda il cameriere improvvisamente muta: la coppia di clienti abituali manifesta segnali di crisi e finirà per separarsi proprio al tavolo della pasticceria, lui stesso cambia divisa sostituendo la camicia bianca con un dolcevita suscitando lo stupore nel collega. La nuova situazione impone quindi un cambio di ruolo a Renos che da osservatore passivo diventa parte attiva che fa domande e passa all’azione con le conseguenze che questo inevitabilmente comporta. «Non mi sono mai aspettato nulla dagli altri» dice Renos a Tzina pronunciando per la prima volta il suo nome. Sembrerebbe l’inizio di una possibile storia a lieto fine, ma la frase sottintende che da se stesso, invece, si aspetta qualcosa, un determinato codice deontologico che ha a che fare anche con la sua identità. Steve Krikris, un passato da regista di spot pubblicitari che evidentemente gli ha permesso di affrontare i generi più disparati, ha scritto, diretto e prodotto il film ispirandosi a fatti realmente accaduti quando abitava a New York alla fine degli anni 80. Con The Waiter realizza un noir raggelato, un thriller psicologico con dialoghi rarefatti e ricostruzioni lasciate all’immaginazione del protagonista che rende omaggio a Shining (il corridoio su cui si affacciano le otto porte, ma anche la ripresa aerea della strada che conduce in riva al lago) e al Silenzio degli innocenti (con la «particolare» cena a base di carne di un novello Hannibal Lecter).