Why We Sing? O del perché Springsteen on Broadway è davvero imperdibile

«The Future Is Unwritten…»
Joe Strummer

 

Springsteen on Broadway è il film springsteeniano (ma anche fordiano, eastwoodiano, malickiano…) di una vita, un flusso di coscienza inarrestabile, un fiume potente e incontenibile di parole, canzoni, autobiografia e autoanalisi. Le parole dei discorsi che introducono o seguono le canzoni (alcuni brevi passi quasi come rap flow) e quelle dei brani sono un tutt’uno dall’inizio alla fine. Alcuni frammenti delle canzoni diventano a loro volta parlati, a volte appena sussurrati con un filo di rauca (mighty) voce. Da Growin’ Up e My Hometown, fino all’ultimo brano Born to Run, i pezzi scorrono in un profluvio di vera intimità e genuina saggezza: «L’equazione essenziale del rock e dell’amore è che 1 +1 non fa mai 2…La ragione per cui l’universo non sarà mai del tutto comprensibile…» osserva Bruce durante una struggente versione al piano di Tenth Avenue the Freeze-Out. Fiotto costante di bellezza, dolore, poesia, energia e pura gioia rock (acustica) senza fine. In una parola «vita» nella sua essenza e nella sua miracolosa unicità. Springsteen ripercorre senza filtri un’esistenza segnata dal rock, dalla ribellione verso il potere (la ballata sul povero cristo steinbeckiano The Ghost of Tom Joad è chiaramente lanciata contro gli USA di oggi e gli oscuri demoni trumpiani senza mai nominare il presidente), contro un sistema che mandò a morire migliaia di ragazzi americani in Vietnam come i fratelli Walter e Bart Cichon della band The Motifs («chi partì al posto mio?»). Racconta l’incontro con il reduce Ron Kovic («per la prima volta in vita mia non sapevo cosa dire»), da cui nacque la canzone Born in the USA, eseguita nella sua versione originale prevista per Nebraska.

È anche un racconto di spiriti cari («viviamo tra i fantasmi che cercano di raggiungerci per preservarci dall’ombra…»), di un passato che resta presente, di ricerca quotidiana di uno spazio in cui trovare gli affetti che
non ci sono più (il padre, i compagni di una vita di band: Clarence Clemons e Danny Federici…). Davvero straordinario il racconto sull’albero abbattuto, a ridosso della casa d’infanzia, che ha lasciato i segni profondi
delle sue radici («history matters»). «Perché cantiamo? Per il nostro sangue, per i nostri cari, perché sono l’unica cosa che abbiamo in questo mondo…». Lo show-concerto-film si chiude con una preghiera, il Padre nostro recitato per intero, e una benedizione («ai vostri affetti e alle vostre famiglie»). Bruce è l’unico cantore contemporaneo dei poveri cristi, che riesce a non suonare mai predicatorio, consolatorio o falso, ma sincero, puro e sentito. Che si creda o meno, non si può non pensare che Springsteen sia messaggero di vera luce rock e grandiosa soul musicale.