Nosferata: First Bite di Adam Khalil e Bayley Sweitzer

Berlinale72 – Sguardi dal continente americano: Vênus de Nyke di André Antônio e Nosferata: First Bite di Adam Khalil e Bayley Sweitzer

Nosferata: First Bite di Adam Khalil e Bayley Sweitzer

La Settimana della critica del festival di Berlino (Woche der Kritik) ha la caratteristica di accomunare film lunghi, medi e corti, di finzione e documentari, accoppiarli in programmi specifici, infrangendo così i confini tra durate e generi, mettendo in relazione testi e liberandoli da gabbie pre-ordinate. Tra i primi titoli in programma ci sono due mediometraggi, che qui uniamo pur essendo stati presentati in due contenitori differenti, proprio a evidenziare nuovi e possibili legami o, semplicemente, modi alternativi nella forma e nella narrazione di interrogare dei soggetti, degli argomenti, dei pre-testi inscritti nell’odierno vivere quotidiano. Si tratta di Nosferata: First Bite di Adam Khalil e Bayley Sweitzer e Vênus de Nyke (Venus in Nykes) di André Antônio. Ovvero, due opere provenienti dal continente americano, Stati Uniti la prima, Brasile la seconda. È il colonialismo secolare al centro di Nosferata: First Bite. In 33 minuti, gli autori compiono un viaggio che inizia nel 1492 e (non) termina agli albori degli anni Venti del XXI secolo. Cristoforo Colombo sta conquistando l’America, dialoga con un sodale su una spiaggia, mentre l’africano Oba raggiunge moribondo la terra, trasportato dalle onde e alla fine di un lungo viaggio dall’Africa Occidentale (che rimane fuori campo). I due bianchi gli si avvicinano e, nella frase che Colombo gli rivolge, prima di morderlo sul collo, sta tutta la brutalità di un colonialismo mai finito: “Benvenuto nel mio nuovo mondo”. Quel “mio” contiene tutta l’atrocità dello spossessamento di luoghi, culture, memorie, tradizioni. (In apertura un’immagine di Nosferata: First Bite di Adam Khalil e Bayley Sweitzer).

 

Vênus de Nyke di André Antônio

 

Colombo è un vampiro e rende Oba suo schiavo e a sua volta vampiro. Le immagini sono di natura lussureggiante e ostile, trasmettono un senso gotico di orrore, in esse si stratificano riferimenti (film in costume, horror, genere storico). Ma ben presto il lavoro di Khalil e Sweitzer prende altre coordinate e ci si ritrova, con un ottimo sconfinamento spazio-temporale, negli Stati Uniti di oggi, al tempo della pandemia, nella finzione adesso Oba è un uomo anziano (e non è solo un personaggio, Oba esiste davvero, ha partecipato alla scrittura e realizzazione del film, è un artista e musicista di Brooklyn), affronta le procedure per rinnovare la carta verde per poter risiedere in Usa, è un attivista che lotta contro una vampirizzazione che ha conquistato il mondo. Il film si frantuma in tante schegge, comprese le immagini delle campagne per la rimozione delle statue d’epoca coloniale, a partire da quella di Colombo, e quelle che fanno entrare in campo la lavorazione del film, la troupe. Un mosaico di forme per riflettere in maniera originale su una colonizzazione vampiresca onnipresente e su come decolonizzarsi da essa.

 

Nosferata: First Bite di Adam Khalil e Bayley Sweitzer

 

Protagonista assoluto di Vênus de Nyke è André Antônio, regista, attore, performer, sceneggiatore, montatore nato a Recife nel 1988, fondatore del collettivo indipendente queer Surto & Deslumbramento che, nell’ultima decade, ha firmato lavori sperimentali, politici, irriverenti, di cui Vênus de Nyke, nei suoi 41 minuti, è esempio significativo. In scena, un uomo che ha come ossessione feticista le scarpe da ginnastica e una psicanalista che ascolta i suoi racconti e dialoga con lui. Entrambi i personaggi sono interpretati da André Antônio. In quel feticismo il personaggio è immerso, lo pratica, vede, immagina, insegue ovunque. Spetterà solo a lui trovare una via d’uscita a quel richiamo totalizzante. Ma non ci sono moralismi, c’è in Vênus de Nyke appunto l’irriverenza, l’ironia, l’esplosione del desiderio omoerotico in una pluralità di espressioni, punteggiato da una notevole quantità di brani tratti dalle fonti più disparate che interagiscono con le giornate, i sogni e le visioni del protagonista. All’inizio si veste compiendo gli stessi gesti del personaggio di Scorpio Rising di Kenneth Anger che guarda sul computer. E poi ecco inserirsi, nella struttura finzionale, tra le tante, e soprattutto nella parte finale del film, immagini da Sebastiane di Derek Jarman, Un chant d’amour di Jean Genet, schegge di porno gay in argomento tratte da Pornhub o Sneakersex, Papa Francesco che lava e bacia i piedi ai fedeli… Mentre, in questo flusso di desiderio e consapevolezza, fanno capolino testi di Benjamin e Deleuze e della studiosa femminista queer Teresa De Lauretis. Un “campionario” per nulla naïf. Ogni cosa è collocata con esattezza in questo film caleidoscopico: cinefilo, filosofico, divertente.

 

Vênus de Nyke di André Antônio