All’Ara Pacis l’universo sconfinato di C’era una volta Sergio Leone

C’era una volta Sergio Leone (all’Ara Pacis fino al 3 maggio 2020), celebra, a 30 anni dalla morte e a 90 dalla nascita, un gigante del cinema italiano. L’esposizione arriva in Italia dopo il successo dello scorso anno alla Cinémathèque Française di Parigi, istituzione co-produttrice dell’allestimento romano insieme alla Fondazione Cineteca di Bologna.  L’ideazione è di Equa di Camilla Morabito e il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura. Il percorso espositivo –curato dal direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, in collaborazione con Rosaria Gioiae Antonio Bigini–racconta di un universo sconfinato, quello di Sergio Leone, che affonda le radici nella sua stessa tradizione familiare: il padre, regista nell’epoca d’oro del muto italiano, sceglierà lo pseudonimo di Roberto Roberti, e a lui Sergio strizzerà l’occhio firmando a sua volta Per un pugno di dollari con lo pseudonimo anglofono di Bob Robertson. Nel suo intenso percorso artistico Sergio Leone attraversa il peplum, riscrive letteralmente il westerne trova il suo culmine nel progetto di una vita: C’era una volta in America. A questo sarebbe seguito un altro film di proporzioni grandiose, dedicato alla battaglia di Leningrado, del quale rimangono, purtroppo, solo poche pagine scritte prima della sua scomparsa. Leone, infatti, non amava scrivere. Era,piuttosto,un narratore orale che sviluppava i suoi film raccontandoli agli amici,agli sceneggiatori, ai produttori. Ma ciò nonostante, il suo lascito è enorme,un’eredità creativa di cui solo oggi si comincia a comprendere la portata.

 

 

Le radici del cinema di Sergio Leone affondano, naturalmente, anche nell’amore per i classici del passato –in mostra i film dei giganti del western, da John Ford a Anthony Mann –e rivelano un gusto per l’architettura e l’arte figurativa che ritroviamo nella costruzione delle scenografie e delle inquadrature, dai campi lunghi dei paesaggi metafisici suggeriti da de Chirico, all’esplicita citazione dell’opera Love di Robert Indiana, straordinario simbolo, in C’era una volta in America, di un inequivocabile salto in un’epoca nuova. Per Leone la fiaba è il cinema. Il desiderio di raccontare i miti (il West, la Rivoluzione, l’America) utilizzando la memoria del cinema e la libertà della fiaba, entra però sempre in conflitto con la sua cultura di italiano che ha conosciuto la guerra e attraversato la stagione neorealista. A partire da Per qualche dollaro in più Leone può permettersi di assecondare la sua fascinazione per il passato e la sua ossessione documentaria per il mito curando ogni minimo dettaglio. Grazie ai preziosi materiali d’archivio della famiglia Leone e di Unidis Jolly Film i visitatori entreranno nello studio di Sergio, dove nascevano le idee per il suo cinema, con i suoi cimeli personali e la sua libreria, per poi immergersi nei suoi film attraverso modellini, scenografie, bozzetti, costumi, oggetti di scena, sequenze indimenticabili e una costellazione di magnifiche fotografie, quelle di un maestro del set come Angelo Novi, che ha seguito tutto il lavoro di Sergio Leone a partire da C’era una volta il West.Seguendo queste tracce, la mostra C’era una volta Sergio Leone è suddivisa in diverse sezioni: Cittadino del cinema, Le fonti dell’immaginario, Laboratorio Leone, C’era una volta in America, Leningrado e oltre, dedicata all’ultimo progetto incompiuto, L’eredità Leone.