Foto Virginia Farneti / LaPresse 14-05-2011 Roma Spettacolo Trasmissione Rai Eurovision Song Contest Nella foto Raffaella Carra' Photo Virginia Farneti/Lapresse 14-05-2011 Rome Entertainment Tv Show Eurovision Song Contest In the photo Raffaella Carra'

Raffaella è mia

Signore le donne lo sono tutte, come gli uomini sono tutti dottori, in questo Paese in cui pur di non rischiare di perdere qualche cosa si gratifica qualunquisticamente a priori l’ego di chi quella cosa potrebbe darcela o farcela ottenere. Raffaella Carrà invece era una vera signora. Signora di una televisione della quale ha contribuito in maniera essenziale a maturare il linguaggio. Signora di una società che ha contribuito a far maturare usando come veicolo il suo corpo e la sua voce con naturalezza e ironia proprio grazie a quel linguaggio televisivo cui stava nel frattempo aggiungendo nuovi vocaboli. Il senso comune italiano si è emancipato da certe sue grettezze e da certo becero voyeurismo proprio grazie all’ombelico di questa bellissima signora che, offrendocelo, consentiva allo schermo della Rai, soffocata dalla grottesca pruderie democristiana, di non rinunciare a essere anche una finestra sul mondo attraversato dalla rivoluzione sessuale. Signora per la sua coerenza nel tenersi lontana dagli stereotipi che le si voleva cucire addosso e che le avrebbero certamente facilitato la vita in questo strano Paese: moglie, madre, persino icona erano in bocca a Raffaella poco più che parole, involucri di fasi o ruoli di una vita in perenne trasformazione, etichette comode ma noiose per una mente libera e inquieta come la sua.

 

 

 

 

Così la libera e inquieta Raffaella, che ha sempre pensato a essere se stessa prima che a garantirsi un successo più remunerativo essendo quella che il mondo voleva che fosse, ha sperimentato la tv privata del caimano senza indottrinarsi e “scendere in campo” come altre “signore” dello spettacolo italiano, per poi tornare alla tv pubblica. Ha inventato e incarnato format innovativi, facendosi da parte quando non le veniva offerto nulla che davvero le interessasse. Ha evitato celebrazioni e autocelebrazioni che pure le si dovevano, ma che lei, viva nel presente e intenta a  progettare il futuro, ha sempre gentilmente declinato. Ha resistito alla tentazione di elaborare pubblicamente il trauma della malattia, come si fa abitualmente nei peggiori salotti delle amiche del caimano, e ha vissuto l’ultimo periodo della sua vita come Raffaella Maria Roberta Pelloni, lontano dai clamori del gossip, lasciando a noi il compito, triste ma anche meraviglioso, di elaborare l’eredità di Raffaella Carrà, sulla quale, nel dolore sincero della perdita, abbozzo solo un pensiero non filtrato.

 

 

Per un istante mi è sembrato che con Raffaella se ne siano andate per sempre la giovinezza, della tv e della società italiana, la frenesia del miracolo del benessere e della crescita senza fine, in una parola il nostro POP, la nostra speranza, un modello di indipendenza libera e fiera in un Paese che ancora oggi è mortificato da conformismi e opportunismi di ogni tipo. Poi però dagli scrigni delle teche Rai la voce e il corpo di Raffaella, intatti e vivi più che mai, come sempre quando un’immagine perde il suo modello reale, mi ricordano che, come diceva Tiziano Ferro (l’unico cui si sia concessa in qualità di icona), Raffaella è mia, non cesserà mai di essere mia, nel mio dna di uomo in cerca di anime belle e coraggiose, modelli di vita sinceri, persone autentiche, al riparo dagli stereotipi della cultura asfittica e retrograda che ha afflitto, ahimè, non solo il nostro passato.