Berlinale 70 – E il naufragar m’è dolce il questo mare: Swimming Out Till the Sea Turns Blue di Jia Zhang-ke

È sicuramente un progetto appassionato l’ultimo documentario di Jia Zhang-ke. Impossibile infatti non intravedere dietro le righe, o meglio, dietro questi fotogrammi, una delle opere più sentite e personali partorite dal regista cinese. Tutto fa pensare a lui, alle sue tematiche, al suo cinema. Persino lo spunto narrativo, se così possiamo chiamarlo, dal quale il film prende le mosse è frutto del suo lavoro. Ci troviamo infatti nella terra natale dell’autore, ampiamente utilizzata come ambientazione dei suoi film di finzione e ora persino località di un festival letterario da lui stesso ideato e coordinato. A voler pensare male, insomma, potrebbe quasi sembrare che l’occasione sia ideale per farsi un po’ di autopromozione. Eppure il discorso di Swimming Out Till the Sea Turns Blue chiaramente non è così semplicistico. Raccogliendo le testimonianze di alcuni scrittori appartenenti a diverse generazioni, il film prova a riflettere costantemente sullo scorrere del tempo, sugli effetti che questo ha nei confronti di una località, di un ambiente, di una comunità, e su come la letteratura o più generalmente l’arte (di conseguenza anche il cinema) possano raccontare tali effetti e da essi debbano o meno lasciarsi mutare. Tra immagini, sensazioni, emozioni e parole, il film diventa lo specchio di una mente acuta e interessante che a sua volta è il frutto di una località ampiamente stimolata e stimolante.

 

 

Non è facile riuscire a riportare le tematiche principali del proprio percorso artistico all’interno di un film basato su interviste e memorie, eppure Jia Zhang-ke riesce a fare in modo che Swimming Out Till the Sea Turns Blue si incastri perfettamente all’interno della sua produzione, come un unico grande flusso di coscienza sapientemente mascherato da dolce e malinconico ritratto di famiglia per poter essere divulgato. Suddiviso in diciotto capitoli, infatti, il lungometraggio scorre senza intoppi cercando di restituire una continua sfumatura spazio temporale in grado di abbracciare regista e spettatore, romanziere e lettori, intervistato e uditori. Ci si perde all’interno del mare di parole e sensazioni che emergono dall’inchiostro e dalla memoria dei protagonisti, ma è un dolce abbandonarsi al moto delle onde, un naufragare leopardiano in cui presente, passato e futuro si accavallano per provare a restituire la dimensione più complessa e affascinante di tutte, quella del tempo.