Crudelia di Craig Gillespie: il punk è più vivo che mai

Non un banale spin off, ma un potente elogio della cultura e dell’estetica punk e della sua forza dirompente. Questo è Crudelia di Craig Gillespie che celebra il movimento di rottura per antonomasia attraverso la storia di una punk d’eccezione: Cruella De Vil (da noi Crudelia De Mon per mantenere il riferimento infernale) dalla nascita – il film si apre su un parto – all’inizio del celebre film Disney, con la scena dopo i titoli di coda che passa il testimone a Roger (Rudy nella versione italiana), l’avvocato pianista, e Anita, la giornalista, cui vengono donati rispettivamente Pongo e Perdita (Peggy), i genitori della Carica dei 101. È la stessa Cruella a ripercorrere in voice over la sua vita e a far intendere che un cimelio di famiglia ha causato la sua morte. Proprio come in Viale del tramonto ci troviamo di fronte a un narratore morto, ma quello che Cruella si accinge a narrare è piuttosto il percorso verso gli albori di un nuovo mondo. Marchiata fin dalla culla dalla celebre chioma per metà bianca e per metà nera a significare la coesistenza in lei di due anime – la buona Estella e la terribile Cruella – la protagonista è una creatura bipolare con un gusto molto marcato fin dalla più tenera età. La madre cerca di proteggerla e di plasmarla con l’amore in modo che il lato buono prenda il sopravvento su quello cattivo. Una volta rimasta sola, con un senso di colpa che la divora, Estella deve imparare a cavarsela e a mettere da parte i suoi sogni: «Volevo diventare una stilista di moda, non una ladra». Fondamentale l’amiciza con Horace e Jasper, orfani come lei, con cui, in una Londra dickensiana, finisce per dar vita a una famiglia.

 

 

 

«In un attimo erano passati dieci anni» ci avvisa la narratrice diventata una giovane donna (Emma Stone) che nasconde l’inconfondibile capigliatura sotto una tinta mogano. Siamo nel 1975 e a Londra il punk spopola non solo nella musica ma anche nella moda. Estella ottiene un lavoro al Liberty di Londra, il grande magazzino che vende le collezioni dei migliori stilisti del tempo, e attira su di sé l’attenzione della temibile Baronessa von Hellman (Emma Thompson) la quale, accortasi del suo talento, la assume alle sue dipendenze per sfruttarne la vena creativa.  Quando però la ragazza nota al collo della donna il cimelio appartenuto a sua madre Catherine (Emily Beecham), Cruella prende il sopravvento su Estella e il film che fino a questo momento sembrava un biopic si trasforma in revenge movie, come esplicita la stessa Cruella: «Le tappe del lutto sono 5: diniego, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione a cui va aggiunta una sesta: la vendetta». Nulla di meglio che colpire la Baronessa nel suo orgoglio, screditandola agli occhi del mondo intero dopo averle rubato la scena in un’escalation che va da topi serviti su vassoi in feste esclusive, all’invasione di falene che rievoca una delle piaghe d’Egitto, passando per la magnifica apparizione di Cruella in veste di trash queen (in senso letterale, su un camion della spazzatura con un abito a strascico di spazzatura che, nella mascherina disegnata sul suo sguardo e sui titoli dei giornali, la incorona come “The Future” ribaltando lo slogan punk “No Future”) fino alla festa finale in stile Charlie Kaufman. Una rivincita personale ma anche generazionale, con il nuovo stile (pelle, borchie, mostrine coesistono felicemente con un tripudio di tulle) che si impone sulla tradizione.

 

 

Un film, scritto da Tony McNamara (già sceneggiatore di La favorita) e Dana Fox, incentrato su due cattive memorabili (Stone e Thompson fanno a gara di bravura) perché «Alla gente servono cattivi in cui credere», in cui gli uomini sono funzionali allo svolgimento della trama, ma totalmente al servizio delle diaboliche stiliste (solo il maggiordomo John, interpretato da un impeccabile Mark Strong ha un ruolo sostanziale). Ancora una volta, Craig Gillespie dimostra la sua attrazione per personaggi ai margini e con turbe (dal delizioso Lars e una ragazza tutta sua in cui, nel 2007, Ryan Gosling si innamorava di una bambola gonfiabile al mockumentary Tonya del 2017 che ripercorre la vita della pattinatrice sul ghiaccio Tonya Harding). Curatissimo ovviamente anche il lavoro sulla colonna sonora che presenta oltre trenta brani memorabili da Should I Stay or Shoud I Go dei Clash a Come Together nella versione di Ike e Tina Turner, da One Way or Another di Blondie a Boys Keep Swinging di David Bowie (a cui viene reso omaggio anche nel look dell’androgino Artie, interpretato da John McCrea, il sarto e stilista amico di Cruella), da Perhaps, Perhaps, Perhaps di Doris Day a Feeling Good di Nina Simone a These Boots Are Made for Walking di Nancy Sinatra.