Ernest Cole, Lost and Found di Raoul Peck: fotografo apolide a Cannes77

Uscito nel 1967 negli Stati Uniti e un anno dopo a Londra, House of Bondage (“la casa della schiavitù”) è considerato uno dei documenti più incisivi sull’apartheid sudafricano. È una raccolta di scatti che Ernest Cole, nato a Pretoria nel 1940, testimone oculare e vittima della politica di segregazione razziale, pubblicò a 27 anni, ispirandosi al lavoro analogo di Henri Cartier-Bresson sulla città di Mosca. Per molti è stata la prima testimonianza di quello che succedeva nel Paese: come ad esempio il massacro di Sharpeville del 1960, quando la polizia uccise 70 civili tra quelli che protestavano contro il pass law, la legge che obbligava ogni africano impiegato in una zona riservata ai bianchi a circolare con un documento specifico d’identificazione. Proibito in Sudafrica, House of Bondage è stato a lungo fuori catalogo, introvabile, ed è stato ripubblicato da Aperture solo nel 2022, in una versione rivista. Per molti anni si erano perse le tracce anche del suo autore. Ernest Cole è infatti morto solo e dimenticato, prima di compiere 50 anni, nel 1990, poche settimane prima della liberazione di Nelson Mandela.

 

 

Nel 2017 i suoi eredi sono stati contattati da una banca svedese (nel 1968 Cole aveva chiesto asilo politico al governo di Oslo) per rientrare in possesso di sessantamila negativi di Cole che risultavano “conservati” nel caveau. Il nipote di Cole, Leslie Matlaisane, principale fonte del film e unica “testa parlante”, non ha ancora ricevuto risposte su chi li abbia depositati lì. Se il “ritrovamento” può ricordare vagamente Alla ricerca di Vivian Maier di John Maloof e Charlie Siskel, qui il caso è molto diverso, ingigantito dall’oggetto delle immagini e dal loro già noto valore di mercato. Ernest Cole, Lost and Found di Raoul Peck – tra le Séances Spéciales di Cannes 77 e vincitore ex aequo dell’Oeil d’or con The Brink of Dreams di Nada Riyadh e Ayman El Amir – ha il grande pregio di esibire con generosità una quantità cospicua di immagini del suo archivio, un corpus imponente e stupefacente per varietà e pienezza – alcune digitalizzate e rese disponibili qui grazie al Photography Legacy Project. Da quella di una donna bianca su una panchina con la scritta “Europeans Only” ai lavoratori ammassati sui mezzi di trasporto, ai cartelli prescrittivi, l’obiettivo instancabile di Cole scrive una storia parallela, ordinaria e orribilmente quotidiana. Dopo una breve collaborazione con giornali di costume, da cui si intravedono anche scatti di Miriam Makeba e i Manhattan Brothers, passerà alle moltissime scene di vita di strada a New York, tra l’energia di una blackness orgogliosa e la frustrazione per un altro tipo di emarginazione. 

 

 

Così come aveva fatto con Samuel L. Jackson in I Am Not Your Negro, il regista affida le parole di Ernest Cole alla voce narrante di un attore, che qui è Lakeith Stanfield (Scappa – Get Out, Judas and the Black Messiah, Il vangelo secondo Clarence). Per realizzare non un ritratto biografico costruito su testimoni postumi, ma un diario intimo, in prima persona e ricco di riflessioni teoriche, sporadicamente appoggiate a estratti da Ernest Cole, documentario di Jurgen Shadeberg (2006), anche lui cronista delle leggi razziali sudafricane. Ne scaturisce un racconto rigoroso ed esemplare di apolide, incompreso sia dalla propria patria che dai Paesi d’elezione. Di un fotoreporter il cui lavoro ha assunto un diverso peso a seconda della posizione politica del resto del mondo rispetto all’apartheid. Espulso dal Sudafrica con divieto di rimpatrio, arrivato a 28 anni a New York, Cole finirà sradicato, isolato, allucinato per lo choc del passaggio da una società separata a un’altra apparentemente democratica e libera ma altrettanto violenta. Sentendosi sempre un altro, ovunque si trovasse.
Dedicato alla memoria di tutti quelli che sono morti in esilio.

 

 

P.S. Pochi giorni prima della proiezione a Cannes, la fondazione Hasselblad di Göteborg ha comunicato che consegnerà alla famiglia tutti i negativi, comprese ulteriori 504 stampe (citate nei titoli di coda). Dopo aver preteso, fino a quel momento, che il Cole Family Trust dimostrasse gli appartenessero. Materia per un altro film, o inchiesta, da scrivere.